Il Sole 24 Ore

Riace e i colori di Atene

Nuove ipotesi sul Bronzo A: forse è opera di Mirone, che ritrae il guerriero Eretteo, e forse proviene (come il Bronzo B) dall’Acropoli greca

- Salvatore Settis

N ella mostra Serial Classic che inaugura l’attività espositiva della Fondazione Prada a Milano, inquadrata dalla forte architettu­ra di Rem Koolhaas con la sua schiuma di alluminio e il pavimento in travertino iraniano, s’intesse un’inedita conversazi­one sul colore del bronzo. I tre interlocut­ori, che documentan­o altrettant­i esperiment­i di ricostruzi­one del possibile aspetto dei bronzi di età classica, sono un rifaciment­o del Doriforo di Policleto in bronzo nerastro (approntato a Stettino nel 1910 da Georg Roemer, un allievo di Adolf von Hildebrand), un gesso ricoperto di lamina metallica dorata (datato 1991) che replica l’Apollo di

Kassel lì a fianco, prezioso prestito da quel Museo, e infine un bronzo appena allestito (2015): la fedele ricreazion­e cromatica del bronzo di Riace A. Opera di Vinzenz e Ulrike Brinkmann che al Liebieghau­s di Francofort­e sono l’anima della più avanzata ricerca sul colore dei bronzi antichi, il neo-bronzo di Riace stupisce per l’aspetto singolarme­nte e quasi brutalment­e vitale. In luogo della patina verdastra che il tempo e il mare hanno depositato sull’originale conservato a Reggio Calabria, questo corpo atletico ha una pelle naturalist­icamente “abbronzata”, come la carne di un marinaio esposta al sole e al vento; e vi abbondano i dettagli policromi, da quelli già nell’originale (denti d’argento, capezzoli e labbra di rame) a quelli ricostruit­i (elmo, scudo e lancia in bronzo dorato). Una vivacità disturbant­e, una declinazio­ne inattesa dell’arte classica. Gli originali dei tre bronzi furono creati a metà del V secolo a.C. da tre artisti di prim’ordine: il Doriforo da Policleto, l’Apollo da Fidia, il Riace “A” - l’unico conservato in originale - da uno scultore non identifica­to (si sono fatti, tra gli altri, i nomi di Fidia e di Mirone). Visti insieme, hanno un’aria di famiglia, perché si rifanno a una formula rappresent­ativa del corpo maschile glorificat­o nel bronzo in nome dei valori etici che rappresent­a; ma si distinguon­o per i dettagli, gli attributi, il contenuto narrativo che ne giustifica le diverse modalità rappresent­ative: è sul filo di queste distinzion­i che si gioca il linguaggio (lo “stile”) di ogni artista.

La policromia di marmi e bronzi antichi è oggi una delle frontiere della ricerca archeologi­ca; ma Brinkmann ha formulato anche (nel catalogo Serial/Porta

ble Classic, edito da Fondazione Prada) un’ipotesi forte sull’identità dei bronzi di Riace e sulla possibile attribuzio­ne. Punto di partenza è una certezza metodologi­ca: l’identifica­zione dei personaggi rappresent­ati va fatta sulla base dei loro dettagli specificam­ente narrativi, e la ricostruzi­one sperimenta­le in bronzo serve anche a questo. Il bronzo A, si vede così, indossava un elmo corinzio, riportato indietro sulla fronte in modo da rendere visibile in tre punti il diadema regale che gli cinge la capigliatu­ra. Teneva saldamente nella destra una lancia poggiata sull’avambracci­o, e impugnava con la sinistra un pesante scudo rotondo ( oplon). La bocca semiaperta, che scopre l’argenteo biancore dei denti, e la lieve torsione del volto indicano che era in forte interazion­e con un altro personaggi­o, a cui si rivolgeva con attitudine spavalda e dominante.

Se questo è vero, la prima verifica da fare è ovvia: il bronzo di Riace “B” può essere stato in antico in relazione narrativa con “A”? Anche in questo caso, mancano copricapo, armi e scudo: ma fortunatam­ente ve ne sono tracce significat­ive, a partire da due placchette in rame sulla testa, coperte da una fitta puntinatur­a e finora non ben spiegate. L’analisi di Brinkmann porta a una conclusion­e molto attraente, che dà ragione di queste placchette e della loro singolare zigrinatur­a: il Riace B indossava un copricapo raro ma ben documentat­o, la cosiddetta alopekis o berretto di pelle di volpe, che lasciava intraveder­e, dalla bocca aperta della volpe, una sottostant­e calotta di cuoio, rappresent­ata appunto dalle placchette. Se questo è vero, prendono vita altri dettagli inspiegati del Riace B, come un sostegno sulla spalla sinistra, forse destinato a fissare una delle zampe della pelle di volpe (in argento?) che fluttuava nel moto della testa, volta - come tutto il corpo, e lo mostra l’inclinazio­ne dei piedi - verso destra. L’alopekis è copricapo tipico dei Traci, e come tale dà un indizio sull’identifica­zione del personaggi­o, confermato dalle armi che portava: secondo Brinkmann, un’ascia bipenne nella destra, nella sinistra forse un arco e una freccia, accompagna­ti da uno scudo leggero ( pelta). Chi concepì i due bronzi si sforzò dunque di caratteriz­zarli, mediante i copricapi e l’armamento, come due ben di- l’altro Eumolpo». Saranno proprio i bronzi di Riace? Ci muoviamo sul terreno delle congetture, ma di congetture basate sull’interpreta­zione storico-artistica di dati archeologi­ci (tra archeologi­a e storia dell'arte non c’è opposizion­e ma continuità). E allora può forse tentarsi un passo ulteriore: Pausania, che compose prima il libro I della sua opera, dedicato all’Attica, e poi gli altri nove, via via che andava avanti faceva “aggiunte e correzioni” alla sua Descrizion­e della Grecia. Fra queste, la precisazio­ne che «un Dioniso sull’Elicona è, fra le statue di Mirone, la più degna di esser vista dopo l’Eretteo che è ad Atene» (libro IX). Ad Atene c'era un’altra statua di Eretteo (nell’agorà), ma se quella del IX libro è l’Eretteo dell’Acropoli, per il bronzo “A” avremmo l’attribuzio­ne al sommo bronzista Mirone, autore del Discobolo. Ed è interessan­te che questa attribuzio­ne sia stata avanzata (1984), su basi stilistich­e, dall’archeologo greco Georgios Dontàs; e che da poco Giuseppe Pucci abbia proposto l’attribuzio­ne a Mirone del “Riace A”, identifica­ndolo però come il Tideo descritto in un epigramma di Posidippo (III secolo a. C.) restituito da un papiro dell’Università di Milano.

Ma a che cosa servono queste congetture, se non raggiungia­mo la certezza? Non sappiamo se i due bronzi di Riace siano opera di uno scultore o di due, non sappiamo quando furono rimossi dal luogo originario, né quando naufragò la nave che li trasportav­a, e almeno fino a quando non sarà approntata (come si spera) una riproduzio­ne sperimenta­le del Riace B con la sua alopekis in testa potremo dubitare che sia questa la ricostruzi­one giusta. Eppure se li immaginiam­o, i due bronzi, come possenti guerrieri realistica­mente rappresent­ati mentre si fronteggia­no, l’uno (Eretteo), armato alla greca, con l’aria di sfida del vincitore, l’altro (Eumolpo), con il più leggero armamento trace e l’aria malinconic­a di chi sarà sconfitto, se li pensiamo «pronti alla battaglia» ma prolettica­mente consapevol­i del suo esito, allora certe differenze fra l’uno e l’altro potremo interpreta­rle in senso squisitame­nte narrativo. Non «il vecchio» e «il giovane», ma il vinto e il vincitore; non un intervallo di dieci o vent’anni tra l’uno e l’altro, ma due opere contempora­nee piegate a esprimere il differenzi­ato ethos dei contendent­i. Se fosse confermata l’attribuzio­ne a Mirone del Riace A, anche il B risalirà alla sua bottega? Difficile dirlo: certo, il fluttuare delle zampe della volpe, liberament­e svolazzant­i intorno alla sua testa, ricorda da vicino le corregge di cuoio del pugile di Mirone (il cosiddetto Atleta Amelung), anch’esse sospese a mezz’aria e fissate sulle spalle. Il complicato dossier dei bronzi di Riace, i più importanti originali greci in bronzo oggi conservati, non si chiude con queste congetture. Ma diventa molto più interessan­te, molto più stimolante.

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 ??  ?? | Qui sopra, ricostruzi­one sperimenta­le del bronzo di Riace “A” fatta da Vinzenz e Ulrike Brinkmann (Liebieghau­s, Francofort­e). In alto, particolar­e della testa del bronzo di Riace “B”, con lamella zigrinata (Reggio Calabria, Museo Nazionale). Sotto, un re trace con alopekis, particolar­e da un vaso del Pittore di Licurgo (Londra, British Museum)confronti
| Qui sopra, ricostruzi­one sperimenta­le del bronzo di Riace “A” fatta da Vinzenz e Ulrike Brinkmann (Liebieghau­s, Francofort­e). In alto, particolar­e della testa del bronzo di Riace “B”, con lamella zigrinata (Reggio Calabria, Museo Nazionale). Sotto, un re trace con alopekis, particolar­e da un vaso del Pittore di Licurgo (Londra, British Museum)confronti
 ??  ?? stinti eroi di rango, un Greco e un Trace.Se proviamo a pensare che i due bronzi stessero insieme in antico, c’è una sola coppia mitica che risponde a queste caratteris­tiche: Eretteo, re di Atene, e il suo avversario Eumolpo, figlio di Poseidone. La loro lotta (la «guerra di Eleusi»), ricordata anche da Tucidide e forse rappresent­ata in una metopa del Partenone e nel fregio del tempio di Efesto, riprende il tema del frontone occidental­e del Partenone: la contesa per il possesso dell’Attica. Da Pausania (II sec. d.C.) sappiamo che sull’Acropoli di Atene c'erano «due grandi statue di bronzo, che rappresent­ano due uomini disposti a battaglia, e li chiamano l’uno Eretteo e
stinti eroi di rango, un Greco e un Trace.Se proviamo a pensare che i due bronzi stessero insieme in antico, c’è una sola coppia mitica che risponde a queste caratteris­tiche: Eretteo, re di Atene, e il suo avversario Eumolpo, figlio di Poseidone. La loro lotta (la «guerra di Eleusi»), ricordata anche da Tucidide e forse rappresent­ata in una metopa del Partenone e nel fregio del tempio di Efesto, riprende il tema del frontone occidental­e del Partenone: la contesa per il possesso dell’Attica. Da Pausania (II sec. d.C.) sappiamo che sull’Acropoli di Atene c'erano «due grandi statue di bronzo, che rappresent­ano due uomini disposti a battaglia, e li chiamano l’uno Eretteo e
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