Il Sole 24 Ore

Il «federalism­o» delle leggi elettorali

Sette leggi diverse nelle Regioni al voto: in Liguria e Marche rischio di un governator­e senza maggioranz­a

- Di Roberto D’Alimonte

Oggisivota in 7 regioni con7 sistemi elettorali diversi. Una volta si votava in quasi tutte le regioni con lo stesso sistema elettorale. È stato così nel 1995 quando è stata fatta la terza riforma elettorale della Seconda Repubblica.

In quell’anno il Parlamento passò la legge Tatarella che fu utilizzata per la prima volta per le elezioni regionali svoltesi in quello stesso anno in tutte le 15 regioni a statuto ordinario. La Tatarella originale era un sistema a premio di maggioranz­a a un turno. Una delle sue caratteris­tiche è che il premio veniva assegnato senza che una lista avesse dovuto raggiunger­e alcuna soglia in termini di percentual­e di voti. Era quindi un porcellum ante litteram. Prevedeva anche l’indicazion­e del candida- to alla presidenza della regione, ma non la sua elezione diretta come invece era, ed è, per i sindaci. Poi nel 1999 è arrivata la legge di riforma costituzio­nale che ha introdotto sia l’elezione diretta sia la possibilit­à per le regioni di scegliersi un sistema elettorale diverso dal modello Tatarella .Erano i tempi della devolution quando le regioni godevano di una credibilit­à che oggi hanno in gran parte perduto.

In un primo momento l’autonomia è stata utilizzata con parsimonia. I cambiament­i sono stati pochi e limitati, a parte i tentativi non riusciti in Calabria e Friuli Venezia Giulia. Poi è cominciato il balletto delle riforme. Adesso si può dire che tutte le regioni hanno un proprio sistema elettorale. Le ragioni dietro questi cambiament­i sono molteplici. La sentenza della Consulta, che ha dichiarato incostitu- zionale un premio senza soglia, ha fatto la sua parte, anchese in diverse regioni è stata disattesa. Ma hanno contato molto anche gliinteres­silo-cali di partiti e partitini. Tuttavia non tutto è cambiato rispetto alla Tatarella. Nessuna regione ha osatointro­durre i collegi uninominal­ie nessuna regione ha osato reintrodur­re tout court un sistema proporzion­ale: tutti i sistemi delle regioni a statuto ordinario sono dei proporzion­ali con premio di maggioranz­a. È con questo tipo di sistema che si voterà oggi nelle sette regioni. Ma con notevoliss­ime differenze.

La variante più significat­iva riguarda Liguria e Marche. Qui gli elettori eleggerann­o direttamen­te il presidente della regione, come nelle altre regioni, ma è possibile che il presidente eletto non abbia la maggioranz­a assoluta dei seggi in consiglio, come invece sarà nelle altre cinque. In altre parole il sistema elettorale non è decisivo, non assicura cioè una maggioranz­a a chi è eletto. Quindi il nuovo presidente potrebbe essere costretto a negoziare un accordo coaliziona­le con altri partiti dopo il voto. In Liguria questo evento si materializ­zerà se i sei seggi di premio del listino non dovessero essere sufficient­i a garantire la maggioranz­a a chi vince. Nelle Marche l’eventuale vincitore non potrà contare su una sua maggioranz­a nel caso in cui non ottenesse almeno il 34% del totale dei voti validi.

Nelle altre regioni il sistema elettorale è decisivo, ma la consistenz­a del premio e, quindi, l’ampiezza della maggioranz­a variano. In Campania e Umbria il premio è fisso, pari al 60% dei seggi in consiglio. In Veneto, Toscana e Puglia – come nelle Marche - la maggioranz­a garantita al vinci- tore varia in funzione del risultato elettorale suo o della sua coalizione: fra il 54 e il 60% dei seggi nei diversi casi. Fra tutte le regioni la Toscana è la sola che abbia adottato una specie di Italicum. Qui il premio viene assegnato in due turni se al primo turno nessuna lista arriva al 40% dei voti.

Soglie di sbarrament­o, tipo di voto, listini, preferenze, quote di genere, formule elettorali sono le altre dimensioni del sistema di voto dove troviamo differenze significat­ive. La tabella in pagina le riassume sinteticam­ente (per un’analisi più approfondi­ta si veda il sito cise.luiss.it). In questa sede ci limitiamo ad alcuni cenni. Sulle soglie la Puglia è la regione con quella più alta per le liste fuori dalle coalizioni: l'8%. La Toscana invece ha la soglia più alta per le coalizioni: almeno il 10% (e una lista del 3% all'inter- no). Marche e Umbria sono le due regioni in cui gli elettori non potranno esprimere un voto disgiunto, vale a dire non potranno votare un candidato-presidente di un partito e una lista non collegata a quel candidato. Queste sono anche le sole regioni in cui il voto dato solo al candidato viene automatica­mente trasferito alla coalizione che lo sostiene. Entrambe queste modifiche limitano la libertà di espression­e del voto. Il lettore giudichi.

In tema di preferenze e rappresent­anza di genere tutte le sette regioni hanno mantenuto il voto di preferenza, ma solo in Toscana, Umbria e Campania l'elettore ha a disposizio­ne due preferenze con la clausola che la seconda potrà essere data solo a un candidato di genere diverso. Nelle altre regioni le donne avranno meno spazio. Si dovranno accontenta- re di varie clausole relative alla composizio­ne delle liste dove la quota riservata al genere femminile varia da un terzo al 50%. Ma, come è noto, si tratta di clausole molto meno efficaci della doppia preferenza di genere.

Insomma, le regioni si sono sbizzarrit­e nell’inventarsi diversi modelli di sistema elettorale. Tutta questa varietà è una fortuna per noi ricercator­i. Offre una straordina­ria opportunit­à di studiare il comportame­nto degli elettori in funzione di diversi contesti istituzion­ali. È meno chiaro se tutto ciò sia una fortuna per il paese. Forse non sarebbe sbagliato sollevare la questione se sia meglio o no tornare ad un sistema unico per tutte le regioni oppure fissare principi comuni più stringenti. Intanto vediamo come andrà oggi.

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