Wall Street sfida la bolla dello Shenzhen
La ristrutturazione economica cinese crea incertezze ma non paura: Borsa in rialzo del 97,4%
Il rischio di crack finanziario aleggia sulla Cina alle prese con il più robusto programma di riforme dai tempi di Deng Xiaoping, almeno un quarto di secolo fa. Ogni mossa che guarda al futuro e a un sistema in linea con le economie più avanzate innesca scosse di assestamento durissime, tanto più che l’economia reale segue – e non da ora - binari completamente diversi da quella finanziari.
Il vero enigma da sciogliere è capire quanto le due facce della medaglia cinese interagiranno senza annullarsi a vicenda: se l’economia realefrena (il7% dicrescitanel 2015 è una fola a cui nessuno crede più), le borse - poco più che maggiorenni di età - oscillano in un irritante stop and go.
I costi del passaggio da un’economia basata ancora sull’export a quella sui consumi interni (i sorprendenti tagli dei dazi sui prodotti di lusso sono una chiara spia) sono destinati a fare il resto. A completare il quadro le quotazioni della moneta di Pechino sempre più apprezzata sul dollaro, il che mette benzina sulle ferite delle aziende cinesi vocate all’export.
Si può scommettere sulla Cina, in questo quadro? La borsa più frizzante almondo l’annoscorso ha fatto scintille e anche quest’anno gli indici - dalla Borsa di Shanghai allo Shenzehen fino ad Hong Kong - hanno guadagnato fino al 145%, un’euforia che si è infranta giovedì scorso contro un muro compatto di perdite generalizzate (Shanghai -6,5%, Shenzhen 5,52%, Hong Kong 2,2). Fine de lla sequenza positiva da sette annia questa parte? Presto per dirlo, visto che Shanghai è ancora in del 42,6% su inizio anno e lo Shenzhen del 97,4% .
Di fatto, la speculazione si è spostata dall’aumento dello yuan alle scommesse su un intervento statale sull’economia, gonfiando i volumi delle contrattazioni e la bolla speculativa. Ma la fragilità delle imprese, afflitte da debiti e soprattutto da overcapacity, è ri- masta sempre la stessa, generando crisi societarie improvvise a cui gli investitori stanno ora reagendo in modo «nervoso»
Ma anche gli enti locali hanno giocato la loro parte, per far fronte a un debito monstre dallo scorso aprile è stata pianificata una rottamazione del debito vecchio riaprendo per il futuro la porta all’emissione diretta di local bond destinati a entrare in circolo – ancora non si sa con quali esiti – nelle vene del sistema finanziario. La provincia dello Jangsu è stata la prima a muoversi in questa direzione, si vedrà con quali esiti.
Nel breve la frenata porterà a nuovi episodi come quello di Chaori Solar, la prima società a fallire l’anno scorso per non aver pagato gli interessi su un corporate bond. La stessa sorte è toccata di recente a emittenti come Zhuhai Zhongfu, China Baoding Tianwei, Cloud Live. Altre crisi potrebbero emergere presto, ma non è certamente un male: l’intero sistema finanziario ed economico cinese beneficerà della caduta del «dogma dell’infallibilità».
Una sfida aggiuntiva alla stabilità finanziaria del sistema industriale viene anche dalla corsa alle nuove quotazioni: ben 23 Ipo sono in attesa di debutto, con colossi quali China nuclear power. Sui nuovi collocamenti finiranno almeno 790 miliardi di dollari (4,9 trilioni di yuan), risorse che saranno però sottratte dalla liquidità disponibile per le aziende a corto di denaro. Le autorità da tempo stanno cercando di trovare le regole giuste per bilanciare i flussi e selezionare meglio le matricole, ma il percorso anche normativo è accidentato. Senza contare che le società sono riluttanti a fornire informazioni attendibili sul loro reale stato di salute.
La borsa nel frattempo è ancora chiusa ai possibili ingressi di investitori esteri, la Stock connection tra Hong Kong e Shanghai e, si spera, tra Shenzhen e Shanghai, dovrebbe essere l’antifona per superare, in futuro, il sistema delle quote autorizzate, Qfii, per gli investimenti. Un percorso a ostacoli che sfibra le intenzioni anche delle migliori aziende straniere.
Paradossalmente le manovre della PBoC sul fronte dei tassi, ben tre in sei mesi, e l’obiettivo finale dichiarato di far saltare il cap entro l’anno, se non ben indirizzato rischia di peggiorare la situazione.
La Cina inoltre è tornata a superare il Giappone come detentrice di titoli di Stato del tesoro americano, ha 3.300 miliardi di dollari di riserve valutarie anti-crack ma sta facendo nuovamente marcia indietro sulla diversificazione dell’allocazione degli asset. Un elemento non positivo per il futuro delle risorse valutarie cinesi.
Ma a ben vedere, il vero rischio che incombe sui mercati cinesi è la reazione degli speculatori ai tentativi del governo di mettere più sicurezza e trasparenza nei mercati: molti analisti attribuiscono i crolli della scorsa settimana le proprio al tentativo di regolare i flussi di denaro che arrivano in Borsa dai prodotti di wealth management. Lo stesso copione si verificò quando il governo vietò l’uso dei corporate bond come collaterale a garanzia del nuovo debito. Ma Pechino non si ferma. La messa in sicurezza del sistema ha visto, da un lato, l’introduzione della copertura assicurativa sui depositi bancari con un tetto di 500mila renminbi. e dall’altro l’introduzione di un fondo obbligatorio a carico degli istituti di credito: eventuali default aziendali hanno ora meno possibilità di generare effetti a catena. Ma la tensione resta alta, in Borsa e nell’economia. E a complicare il cammino verso la stabilità ci sono anche forti resistenze culturali. Anche per questo la Cina resterà ancora a lungo un sorvegliato speciale.
RIFORME IN CORSO Il governo cinese sta cercando di riequilibrare i fattori di crescita a favore della domanda interna tenendo a freno la speculazione