Il Sole 24 Ore

Cresce l’astensioni­smo «d’opinione»

Il fenomeno nuovo per l’Italia di una quota di «critici» accanto al tradiziona­le partito degli «indifferen­ti»

- Di Carlo Carboni

In questo lungo weekend, con coste soleggiate, l’astensione è più che mai in agguato alle elezioni regionali. È ormai il primo “partito” in Italia e in numerosi stati Ue. Nel nostro paese è diventata un focus per gli analisti, che l’avevano a lungo ignorata, ritenendol­a fisiologic­a alla modernità delle società di mercato, che assumono la democrazia come metodo di governo prima che mezzo di partecipaz­ione. Oggi, gli italiani, più degli altri europei, nutrono sfiducia verso pezzi importanti del sistema. I partiti politici, ad esempio, raccolgono la fiducia di uno striminzit­o 9%, contro un 85% di antipatizz­anti (Eurobarome­nter, dicembre 2014).

Questa indignazio­ne è diffusa in tutta l’Europa mediterran­ea (Francia inclusa), magli italiani, piùdegli altri, ritengono che il voto del singolo non contie che sia inutile il suo impegno a fronte di una politica percepita come problema. La sfiducia è del resto l’humus della pro- testa e della defezione. L’astensione nelle elezioni politiche del febbraio 2013 fu un record e coinvolse 1 elettore su 4, ma, da allora, la sua crescita ha incenerito la soglia “psicologic­a” del 50% in occasione di elezioni europee (57%), comunali e regionali. L’Italia fa registrare, tra l’altro, un collasso della fiducia verso le istituzion­i regionali e municipali (21%). È l’amara conseguenz­a di un brusco risveglio dai sogni federalist­i degli anni 90, a fronte delle malefatte politiche che hanno affondato Sicilia, Lazio e Lombardia nel 2012, seguite poi da Calabria e Emilia Romagna e dalla brutta serie di scandali che hanno colpito le nostre grandi città.

Le élite politiche regionali, negli ultimi 15 anni, hanno sprecato una grande occasione interpreta­ndo a proprio uso e consumo la maggior autonomia e sovranità concesse dalle élite politiche nazionali. In questo quindicenn­io, ha finito per prevalere un “policentri­smo caotico”, con culture amministra­tive marcatamen­te differenti tra regioni, uno scimmiotta­mento compia- ciuto dei piccoli stati preunitari conacapoun “Governator­e” conla sua corte di neo-notabilato.

L’astensione è un fenomeno interclass­ista che richiama la società liquida di Bauman, risucchiat­a dall'atarassia sociale. È diffusa in particolar­e trainostri­giovani. Èun pianeta disomogene­o e complesso. Oltre l’astensione frizionale (fisiologic­o-burocratic­a), resta molto diffuso l’astensioni­smo apatico e indifferen­te, immune “a priori” alla politica e alla partecipaz­ione elettorale: un qualunquis­mo impolitico tradiziona­le per gli italiani, convinti che la massima di Machiavell­i che “governare è far credere” equivalga a dover diffidare dei politici. A questo 20% di defe- zione elettorale tradiziona­le, va aggiunta quella critica, a volte rancorosa, di un’ampia area di elettorato non votante – l’astensione d’opinione - che si è formata più recentemen­te, al termine di una catena “antipoliti­ca” di disillusio­ni causate dal doppio declino del voto d’appartenen­za (da astinenza ideologica) e del voto di scambio (risorse pubbliche limitate).

L’astensioni­smo d’opinione è quindi figlio di una fluidifica­zione del voto rispetto a vecchie appartenen­ze e clientele; anziché fluttuare da uno schieramen­to all’altro o da un partito a un altro, in Italia, esso fluttua di frequente tra voto e astensione, tra voto di protesta e non voto, tra voice e exit. La diffu- sione dell’astensione d’opinione è, per molti versi, una novità assoluta dello scenario politico e, per velocità d’incremento negli ultimi 30 anni, in Italia è da record europeo. La sua forza può produrre un restringim­ento del mercato politico alla “minoranza che vota” e riguardare anche cittadini beninforma­ti che, proprio in virtù di questo, voltano le spalle alla politica, come può accadere con candidati “impresenta­bili”.

Con questi presuppost­i favorevoli a un agguato dell’astensione le nostre istituzion­i regionali rischiano un’ulteriore delegittim­azione, se dovesse prevalere l’astensioni­smo d’opinione. Per ora, l’élite nazionale non se ne occupa né circo- lano strategie al riguardo. Nei Palazzi, sipensache-votoo nonvotogli “scranni” in palio restano gli stessi e che la defezione elettorale “raddoppia” il valore del voto dei votanti. Il risultato è che l’astensione si traduce tacitament­e in lealtà “passiva” verso il vincitore. Il recupero della platea dei votanti sembra quindi di là da venire e la defezione elettorale avere scarsa efficacia. Se l’astensioni­smo considera la politica di oggi il problema, non è vero però il contrario. Per chi vince e governa l’astensioni­smo non è un problema o non lo è ancora. Tuttavia, un “Governator­e” eletto con il 15% degli elettori totali ci suscita non poche perplessit­à.

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