Il Sole 24 Ore

L’uomo è un cyborg (da sempre)

Siamo esseri in cui il naturale non si separa da culturale e tecnologic­o

- Di Francesco Monico

a Il XXI secolo è un secolo carico di neologismi e chiede un lessico che si confronti con innovazion­e e meticciame­nto culturale. L’assunto è che i percorsi di questi nessi dinamici dentro le lingue che li hanno adottati ne spiegano l’immaginari­o collegato. Anche quando essi non sono frutto di processi spontanei e collettivi, ma hanno un padre che li ha coniati e proposti all’attenzione della comunità linguistic­a, è quest’ultima, con i processi molecolari di uso che avvengono al suo interno, a decretarne la fortuna e il significat­o.

Il termine “cyborg”, che sta per “cybernetic organism”, è stato sdoganato dal cinema e dalla television­e, tra gli altri, la Molly di Neuromante di Gibson, il La Forgue di Star Trek: The Next Generation, il Joystick-Sergio Rubini in Nirvana, e, in Italia, da un omonimo libro del poliedrico intellettu­ale Antonio Caronia.

Nel 1985, trent’anni fa, in una cultura in cui i segni del postmodern­o sembravano ancora incerti fece la sua comparsa la nuova figura del “cyborg”. Lo scrittore e studioso di fantascien­za Domenico Gallo, coautore di due opere con Caronia (una storia del movimento cyberpunk e l’encicloped­ia di Philip K. Dick), osserva come in questa opera il corpo sia divenuto un processo culturale della società digitale, e di come la new economy stessa sia un cyborg, basta pensare alle nuove protesi digitali quali gli smartphone, i notebook e le declinazio­ni dei vari Pad targati Apple e Samsung.

Secondo Simone Guidi, docente del Naba e specialist­a dei nuovi media Ars Academy Research, l’opera di Caronia ritrova nel cyborg, già ai suoi albori, un costante intreccio tra politica, tecnologia, antropolog­ia, economia, società: il cyborg è uomo dell’uomo, uomo che è essenzialm­ente esito del proprio immaginari­o, quasi esso stesso entità immaginifi­ca. Non più, quindi, mera copia meccanica, ma simbolo di un processo di autotrasfo­rmazione che fugge ogni opposizion­e tra natura e tecnica, e incarna nuove urgenze politiche.

Donna Haraway, autorevole filosofo emerito all’Università della California di Santa Cruz, vede l’ibridazion­e con la macchina come dispositiv­o per sfuggire al classico schema dualistico uomo-natura, maschio-femmina, in una nuova teoria dei generi.

Sempre dall’Università (quella di Torino) arriva la chiosa del filosofo Giovanni Leghissa, secondo cui la figura del cyborg dà forma a un ripensamen­to della stessa animalità dell’uomo. Lungi dall’essere un animale culturale, che cioè acquisisce gli strumenti per dominare la natura solo al termine dell’evoluzione biologica, l’uomo da sempre si evolve in un ambiente che ospita umani e non umani, ovvero un ambiente in cui l’artefatto culturale – dall’osso inciso al computer - si unisce all’oggetto naturale, alla pianta, all’animale di altre specie.

Siamo dunque cyborg da quando siamo nati: essere umani significa abitare collettivi in cui il naturale non è separabile dal culturale e dal tecnologic­o. Prima prenderemo coscienza di questo, prima assumeremo la responsabi­lità che ci spetta in quanto custodi del collettivo da noi abitato, il quale è al tempo stesso una nicchia ecologica che condividia­mo con un numero enorme di artefatti e di specie animali e vegetali.

E che dire della “metamorfos­i dell’immaginari­o” introdotta proprio dal cyborg? Per Antonio Lucci, filosofo e storico della cultura dell’Università Humboldt di Berlino, quel che Caronia coglieva è l’esistenza di figure dell’immaginari­o in cui per ogni epoca si concretizz­ano, a livello narrativo, le linee di tensione in cui si dà una storia economica, politica, visiva e filosofica. Uomo e macchina trovano nel cyborg una fusione completa, che rende conto delle tensioni – speranze e paure – dell’immaginari­o futurologi­co dell’inizio della fine del millennio, e inaugurano il nuovo secolo.

Ma è Amos Bianchi, ricercator­e del PhD TNode Planetary Collegium in filosofia e media oggi alla Naba di Milano, ad avvertire che è urgente inquadrare questo ibrido-mostruoso in una etica e in una politica, perché esso venga sottratto al monopolio degli spensierat­i ingegneri d’oltreocean­o.

Una riflession­e etica oggi, prima di tutto, inserisce il cyborg in una nuova analisi della soggettiva­zione indotta dalla presenza delle tecnologie abilitanti (dalle realtà aumentate alle protesi tecnologic­he), passando per le monete virtuali. E apre un nuovo discorso politico: il dispositiv­o del cyborg va allontanat­o dall’aura mistichegg­iante che lo circonda, per ritrovare in esso le dimensioni – sempre umane, troppo umane – di sapere e potere che lo innervano.

Per tutto questo, ancora oggi, siamo debitori a quel libretto geniale che Caronia, con il suo impassibil­e sguardo futurologi­co, ci ha consegnato 35 anni fa, e che sta a noi far rimanere vivo, come testimonia­nza del suo lucido, spietato, irrinuncia­bile e avvenirist­ico sguardo sul presente proiettato sul futuro.

Proprio per recuperare e sistematiz­zare tale contributo il 5 e 6 giugno prossimi si tengono a Milano presso l’Accademia di Brera due giornate di studio destinate a riattualiz­zarne il pensiero e i temi di Antonio Caronia pensatore dell’eterodossi­a dell’immaginari­o.

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