Il Sud è un Paese a sé Solo poche aree sono fuori dal disagio
Ci voleva un articolo dell’Economist ( A tale of two economies, Un racconto di due economie) per certificare quello che questa rubrica va ripetendo da quando è nata: come il Nord avanza (as the north limps ahead), il Sud frana ( the south swoons). Con questo dando credito al lavoro scientifico prodotto dalla Svimez che puntualmente misura i termini del divario crescente.
I numeri presi in prestito dal settimanale inglese per svolgere la sua inchiesta sono i seguenti: 13 % di contrazione del reddito nelle otto regioni meridionali dall’inizio della crisi a oggi contro il 7 per cento della restante parte del Paese; 70% dei nuovi disoccupati; 40% di partecipazione al lavoro contro il 64 del nord; 33% in campo femminile dove si fa peggio della Grecia; raddoppio del tasso di povertà assoluta (ora al 12,6%), basso tasso di natalità, massiccia emigrazione dei giovani più istruiti.
Se per fare una prova ci vogliono tre indizi, qui le prove del dualismo si sprecano. E la convinzione che l’Italiasia un paese spaccato in due - con i termini del problema, il Nord e il Sud, più distanti di quanto non siano in Germania l’Est e l’Ovest - comincia a conquistare sempre più coscienze grazie anche alla testimonianza del Capo dello Stato Sergio Mattarella e le considerazioni del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco.
La conseguenza naturale è che la politica debba prendere atto della realtà e apprestare misure adeguate ad accorciare la distanza (naturalmente dando impulso al Sud senza frenare in Nord) tenendo conto del monito lanciato dal presidente della Bce Mario Draghi in Europa: le divergenze strutturali tra Paesi possono diventare esplosive. Appunto. E questo vale anche in patria.
A fornire un quadro più completo della situazione contribuisce anche l’Istat che nell'ultimo rapporto dedica un capitolo, il secondo, a Luoghi Città e Territori di cui analizza le dinamiche di sviluppo. Dei sette sistemi locali individuati dall’Istituto di statistica, quattro guardano in basso - Territori del disagio, Centri urbani meridionali, Altro Sud, Mezzogiorno interno – e sono tutti distanti anni luce dalle corrispondenti formazioni centrosettentrionali.
Non che manchino differenti punti di partenza e diverse speranze di crescita, in aggregazioni che comunque non tengono conto della continuità territoriale secondo la suggestione del- le macchie di leopardo, ma la lettura del quadro generale segnala sempre un grande bisogno di politiche mirate.
Sulla carta geografica dell’Istat i Territori del disagio sono quattro puntini rossi che corrispondono alle aree urbane di Napoli, Palermo e Bari cui si aggiunge un pezzettino della Sicilia orientale. Il fenomeno più evidente è un’altissima densità abitativa accompagnata dalla tendenza a perdere popolazione e ospitare pochi stranieri. Evidentemente la qualità della vita, condizionata tra l'altro da presenze criminali, è caduta così in basso da scoraggiare nuovi ingressi.
L’altro Sud, al contrario, è il raggruppamento meno compromesso per la maggiore incidenza degli imprenditori, la minore disoccupazione femmini-
LE ECCEZIONI Ci sono realtà territoriali eccellenti ma rimangono casi isolati che non fanno sistema
le e miglior uso suolo. I suoi tasselli colorati in giallo sono divisi tra la Sardegna e la fascia Adriatica con una manciata in Calabria e un’altra in Sicilia. Qualcosa si vede in Campania e paradossalmente anche a ridosso del capoluogo.
Nel mezzo ci sono i Centri urbani meridionali e il Mezzogiorno interno. I primi, contrassegnati dal blu, sono pochi e sparsi per tutto il territorio. In questo caso ci troviamo di fronte a realtà statiche, con scarsa occupazione e grande precarietà. Il secondo, visibile in marrone, è il più esteso in termini di superficie occupando l’Appennino ed è considerato il meno dinamico, con pochi abitanti per chilometro quadrato, per lo più anziani, che vanno progressivamente riducendosi di numero e che vivono in grande maggioranza al di fuori delle città.
Come si vede, per quanto variegato, il Mezzogiorno resta un paese a sé. Le eccezioni restano tali e non riescono a fare sistema. Le migliori esperienze affogano in un ambiente largamente ostile e la tendenza è ad abbandonare il campo come dimostrano la fuga dei capitali, la desertificazione industriale, la partenza dei giovani più preparati e, persino, l’abitudine degli immigrati di considerarne il suolo come passerella per raggiungere posti migliori.