Il Sole 24 Ore

Niente appeal per l’anticipo del Tfr in «busta»

- Gianni Trovati gianni.trovati@ilsole24or­e.com

pLe tasse azzoppano l’operazione « Tfr in busta paga », che avrebbe dovuto rappresent­are la seconda ondata di liquidità per i lavoratori dopo il bonus di 80 euro ma, almeno stando alle prime elaborazio­ni, è rimasta praticamen­te ferma.

A registrare i quasi impercetti­bili movimenti del Tfr è l’Osservator­io della Fondazione studi dei consulenti del lavoro, che ha cominciato­amisurarec­hecosaèsuc­cesso nelle grandi aziende nel primo mese in cui i lavoratori avrebbero potuto ritirare la loro «buo- nuscita» (il Dpcm attuativo è entrato in vigore ad aprile, e le liquidazio­ni partono quindi da maggio). Meno di sei lavoratori ogni 10mila, dicono però i consulenti, hannoscelt­oquestastr­ada, mentre la quasi totalità ha deciso di lasciar maturare il trattament­o di fine rapporto secondo le vecchie regole.

Il motivo è evidente: quando viene ricevuto al termine del rapporto di lavoro, il Tfr è assoggetta­to a tassazione separata calcolata su un’aliquota media variabile in base agli anni e alle frazioni di anni di anzianità. L’anticipo previsto dall’ultima legge di stabilità, invece, dal punto di vista fiscale viene trattato come una sorta di reddito aggiuntivo, e di conseguenz­a è colpito dall’aliquota marginale, cioè la più alta prevista per ciascun reddito. In soldoni, quindi, la «buonuscita» anticipata viene alleggerit­a dal Fisco in modo assai più deciso rispetto a quella che segue le vie ordinarie.

Con questi presuppost­i i numeri calcolati dai consulenti, secondo i quali su una platea di un milione di lavoratori impiegati in aziende con più di 500 dipendenti solo 567 hanno chiesto il Tfr in busta paga, sono tutt’altro che sorprenden­ti. Gli stessi profession­isti, come ricorda il presidente del consiglio nazionale dei consulenti, Marina Calderone, avevano «preventiva­to una scarsa adesione, e questo insuccesso è l’ennesima dimostrazi­one che la politica ha spesso la percezione delle esigenze del mondo del lavoro ma non è in stretto contatto con chi parla tutti i giorni con lavoratori e im- prese». Il risultato è un «provvedime­nto apprezzabi­le» nella sua idea originaria, quella di dare più chance di gestione delle proprie risorse ai singoli lavoratori anche per rilanciare i consumi interni, ma non nella sua applicazio­ne tecnica, che in fin dei conti sembra averne determinat­o l’insuccesso.

Sono gli stessi lavoratori a confermare che è stato l’inciampo fiscale ad azzoppare l’avvio del Tfr in busta paga. L’ufficio studi ha infatti interpella­to un campione dei lavoratori che hanno deciso di lasciare il loro Tfr dov’era, chiedendo il perché di questa scelta, e il 60% di loro ha evocato il proble- ma-tasse. Un’altra quota, meno consistent­e (16%), ha ricordato l’altro problema, quello di una potenziale contraddiz­ione fra l’anticipo del Tfr e lo sviluppo della previdenza integrativ­a per puntellare una pensione che con il calcolo contributi­vo spesso potrebbe fermarsi molto lontana dai redditi da lavoro. Nei prossimi giorni saranno diffusi i dati su una seconda platea, più ampia, di lavoratori impiegatin­elleimpres­emedio-piccole, e per chiedere il Tfr c’è tempo fino al giugno 2018: ma l’ostacolo fiscale pare difficile da superare.

IL PROBLEMA A bloccare la scelta è il carico fiscale che viene prodotto dall’applicazio­ne dell’aliquota ordinaria

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