Investimenti a rischio senza certezza del diritto
Da qualche mese il diritto del lavoro è interessato da una riforma che modifica sostanzialmente istituti ormai radicati della materia, quali ad esempio l'impossibilità per il datore di lavoro di cambiare le mansioni al lavoratore, se non con altre di livello equivalente, o la reintegra in caso di licenziamento illegittimo. Sebbene il campo in questione sia avvezzo alle novità legislative, quella operata dal Jobs Act lo sta scuotendo profondamente. Quello del lavoro infatti è sì un diritto dinamico, ma è anche ancorato ad alcuni principi cardine che per lungo tempo sono stati imprescindibili. In questo contesto di innovazione c’è molta attesa su come il potere giudiziario interpreterà le nuove norme che, pur avendo una formulazione abbastanza chiara, come sempre presentano margini di incertezza al momento di essere applicate. Ci si interroga in particolare su come i giudici accoglieranno la forte riduzione del loro potere discrezionale in ordine alla proporzionalità della sanzione irrogata al lavoratore inadempiente. Il giudizio di propor- zionalità, alla luce della riforma, rileva solo ai fini dell'indennità risarcitoria spettante in caso di licenziamento ingiustificato, ma non per valutare i presupposti della reintegra. Con la nuova normativa, la reintegrazione sul posto di lavoro è prevista, nell'ambito del licenziamento disciplinare, solo in caso in cui il fatto materiale contestato non sussista. Dato che i primi contratti della nuova tipologia sono di pochi mesi fa, non esiste ancora una casistica giurisprudenziale tale da permettere agli addetti ai lavori di conoscere quale sia l'approccio dei giudici a queste tematiche; tuttavia è interessante notare come un sentenza della Corte di Appello di Brescia, del 30 aprile 2015, che va a dirimere una controversia regolata dall'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori come modificato dalla legge Fornero, esprima dei principi astrattamente applicabili anche al nuovo contratto a tutele crescenti. La sentenza in questione prende le mosse da un caso di licenziamento disciplinare irrogato ad un dipendente addetto alla formazione, a cui veniva contestato di aver tenuto un comportamento inadeguato e scortese nei confronti dei colleghi, tanto da costringere l'azienda a ri- muoverlo dalla mansione. Inoltre al medesimolavoratorevenivacontestatodiessersi rifiutato di rinunciare al superminimo, a lui erogato proprio in forza della mansione formativaassegnatagli, perlaqualesierarivelato inadeguato. Il licenziamento veniva impugnato dinnanzi al Tribunale di Bergamo, che in primo grado ne sanciva l'illegittimità e disponeva la reintegra del lavoratore. La Corte di Appello di Brescia confermava la sentenza del giudice di prime cure con motivazioni che non possono non sollevare preoccupazione. Per i giudici di appello non solo l'insussistenza del fatto materialecontestatopuògiustificarelareintegra, ma questa può essere disposta anche quando lo stesso fatto, seppur materialmente sussistente, si risolva in un inadempimento di scarsa rilevanza. La Corte scende poi nel dettaglio affermando che il licenziamento sarebbe sanzionabile con la reintegra, laddove la violazione, anche se non codificata nel contatto collettivo tra le condotte che prevedono una sanzione conservativa, si traduca in un evidente abbaglio del datore di lavoro, o nel suo torto palese, o nella pretestuosità della contestazione ecc. Il principio ivi espresso è sorprenden- te e pericoloso, proprio perché l'insussistenza del fatto potrebbe ravvisarsi anche quando lo stesso, pur accaduto, si presenti per l'appunto di scarsa rilevanza. Un simile ragionamento metterebbe a rischio la recente riforma e permetterebbe al potere giudiziario di vanificare l'intervento del legislatore, che ha manifestato chiaramente la volontà politica di riformare l'art. 18, escludendo quasi del tutto la reintegra nella nuova tipologia contrattuale. Le conseguenze sarebbero evidenti e chiaramente negative, poiché si andrebbe a compromettere la certezza del diritto favorita dal Jobs Act. Un eccessivo potere discrezionale dei giudici genera incertezza su quali possano essere le conseguenze di un recesso giudicato illegittimo. Tale clima di incertezza sarebbe senza dubbio un freno all'occupazione e agli investimenti da parte delle aziende in Italia. Chi investe oggi, visto anche l'andamento altalenante del mercato, ha bisogno di certezze dal punto di vista legislativo e di un'azione dei giudici quanto più fedele possibile al testo della legge; in un contesto di scarsa chiarezza, infatti, nessun imprenditore è invogliato ad investire. In definitiva i giudici dovrebbero riflettere attentamente prima di esercitare la loro funzione in modo da disattendere la volontà politica espressa dal parlamento.