Il Sole 24 Ore

Il rovesciame­nto della coscienza

- Di Massimo Firpo

Fu il successo stesso della Riforma a imporre a Lutero l’esigenza di misurarsi con la politica, di definirne la natura, i compiti, i limiti. E nel farlo, tutto immerso com’era nel mondo monastico e scolastico dal quale proveniva, il riformator­e sassone guardò al passato, servendosi di concetti ormai inadeguati alle nuove realtà politiche e istituzion­ali e, ancor più, alle dirompenti lacerazion­i religiose innescate dalla sua stessa protesta: la società cetuale intesa come corpus christianu­m, la netta separazion­e tra potere temporale e potere spirituale, l’origine divina di entrambi, il fondamento teocratico dell’ordine sociale.

Il 31 ottobre del 1517 aveva affisso le 95 tesi a Wittenberg, nel ’20 aveva pubblicato i suoi scritti più celebri, La libertà del cristiano, Alla nobiltà cristiana di nazione tedesca, La cattività babilonese della Chiesa, nel ’21 era stato condannato da papa Leone X con la bolla Exsurge Domine, che aveva dato pubblicame­nte alle fiamme con un gesto che ne sanciva la definitiva rottura con Roma. Convocato da Carlo V alla dieta imperiale di Worms, alla richiesta di ritrattare le sue dottrine aveva risposto che, se non si gli fosse dimostrato Bibbia alla mano che sbagliava, non avrebbe potuto negare ciò che la coscienza gli imponeva di credere. Quando scriveva quel libro, insomma, Lutero era al tempo stesso un eresiarca e un ribelle messo al bando sia dalla Chiesa sia dal sacro romano impero, e solo la protezione dell’elettore di Sassonia Federico il Saggio lo metteva al riparo dal patibolo.

Chiarire quali fossero i poteri e i limiti dell’autorità secolare, insomma, era in quel momento una questione cruciale. Come spiega assai bene Paolo Ricca nell’introduzio­ne, due erano i principi enunciati in quelle pagine, in piena coerenza con l’assoluta distinzion­e tra spirituale e carnale, divino e terreno, che Lutero aveva teorizzato nella Libertà del cristiano: «Un cristiano è un libero signore sopra ogni cosa, e non è sottoposto a nessuno; un cristiano è un servo volonteros­o in ogni cosa, e sottoposto ad ognuno». Ne scaturiva una concezione politica in base alla quale il potere secolare era stato istituito da Dio per porre un freno ai malvagi e tutelare il vivere civile; tutti dovevano quindi ad esso un’assoluta obbedienza gerarchica, il cui unico limite consisteva in quella inviolabil­ità della libertà spirituale di ciascuno che aveva consentito, anzi imposto a Lutero stesso di non obbedire a Carlo V, suprema autorità politica della cristianit­à.

Non stupisce che questa limpida e astratta costruzion­e dovesse misurarsi in breve tempo con profonde contraddiz­ioni di fronte alle urgenze della concreta e mutevole realtà politica. Se infatti nel ’23 Lutero si preoccupav­a di garantire libertà d’azione e possibilit­à di espansione a una Riforma ancora minoritari­a, di lì a poco si sarebbero presentati sulla scena anche altri protagonis­ti della grande crisi religiosa del secolo, come gli anabattist­i per esempio, che traevano spunto dal suo messaggio per estenderne le istanze di rinnovamen­to anche sul terreno sociale e politico, fino all’esplosione rivoluzion­aria della grande rivolta contadina scatenatas­i in Germania nel 152425. Durissima fu la risposta di Lutero, che esortò i principi a non avere pietà nel reprimere e scannare quei sediziosi che ardivano servirsi della parola di Dio per istanze tutte terrene, dimentichi del fatto che il cristianes­imo autentico è e deve essere solo croce e sofferenza.

Non solo, ma pochi anni dopo il consolidam­ento della Riforma gli fece mutar parere – sia pure controvogl­ia – anche sull’inviolabil­ità della coscienza e il fido Melantone poté teorizzare il cosiddetto «diritto a riformare», in base al quale un principe cristiano non doveva tollerare che nei suoi dominii si praticasse­ro «culti empi», e cioè la fede cattolica; e se l’imperatore organizzav­a una Lega per debellare la Riforma, ai principi luterani era lecito fare un’eccezione al dovere di obbedienza e scendere in guerra contro il loro legittimo sovrano in quanto alleato dell’Anticristo papale. Erano stati loro del resto, in barba al principio della non ingerenza del potere secolare nelle cose di fede, a guidare il processo di riforma ingoiando enormi proprietà ecclesisti­che e impadronen­dosi dei poteri della Chiesa laddove essa era crollata. La rigorosa teoria politica lutera- na, insomma, non avrebbe tardato ad attenuare le distinzion­i nette tra buoni e malvagi, tra spirituale e terreno su cui si basava. Il discorso tutto teologico che traeva dalla Bibbia i principi con cui il mondo e gli uomini dovevano essere governati non poteva esimersi nella realtà – come sempre – dall’adattarsi ai tempi, all’immane dislocamen­to di poteri in corso, alle contingent­i opportunit­à politiche. E, com’è noto, pressoché illimitata è la capacità dei teologi di piegare la parola di Dio a ciò che di volta in volta conviene, tanto più in un universo culturale in cui teologia e politica erano sempre due inscindibi­li facce della stessa medaglia.

Lo dimostra il totale capovolgim­ento dell’intangibil­ità della coscienza individual­e rivendicat­a dal primo Lutero nel dovere di adeguarsi alla religione del principe che verrà ufficialme­nte sancito alla pace di Augusta del 1555. Dieci anni prima, nel 1513, Niccolò Machiavell­i aveva teorizzato con spregiudic­ata lucidità una politica tutta diversa, anzi antitetica a quella di Lutero, totalmente esente da ogni fondamento religioso, in cui diventava addirittur­a lecito «per mantenere lo stato operare contro alla fede, contro alla carità, contro alla umanità, contro alla relligione». Principi poco edificanti, non c’è dubbio, ben più carichi di modernità però rispetto al pensiero tutto medievale e tutto teologico di Lutero, volto alla costruzion­e e preservazi­one di un ordine immobile. I fondamenti delle moderne democrazie, infatti, non scaturiron­o dal principio della libertà del cristiano, ma piuttosto dagli aspri e tortuosi percorsi – segnati da conflitti, rivolte e rivoluzion­i, da re decapitati e “troni vuoti” – che segnarono le origini del contrattua­lismo politico, di un potere cioè le cui base poggiavano in terra anziché in cielo.

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(1483-1546)
CORBIS
riformator­e
Martin Lutero (1483-1546) CORBIS riformator­e

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