Il Sole 24 Ore

Un lettino scomodo

- Di Dorella Cianci

rendere parte alla realtà, interpreta­re la “situazione” che si vive nel mondo, ricercarne il senso nella continua lotta irrisolvib­ile fra senso e non senso è quanto accade i n un romanzo un po’ nebuloso dell’esordiente Walsh. La scrittrice si avvale dello pseudonimo per scrivere di una storia torbida a metà fra la finzione e la cronaca poliziesca e per raccontare un caso limite di violenza subita in un percorso di psicoterap­ia. Gli avveniment­i dovrebbero risultare alleggerit­i da una scrittura limata, a tratti priva di eleganza, ma è proprio in quella dimensione così scarna e priva di liricità che traspare una forma artistica che ci riporta ad alcune consideraz­ioni di Merleau Ponty, quando asseriva che molti libri contempora­nei hanno delle caratteris­tiche di rivolta della vita immediata contro la ragione, perché la più alta ragione – anche quella nascosta nel senso di un’opera d’arte – confina con la non ragione. Il libro della Walsh insiste, forse eccessivam­ente, sul fallimento della psicanalis­i, che spesso è soltanto il fallimento di un singolo e non della profession­e, ma lo fa con razionalit­à tenendo conto degli effetti di un argomento così duro.

Alla base della struttura narrativa si può rintraccia­re un espediente interessan­te quando applicato alla narrativa: il dilemma del prigionier­o, come indicato dal matematico John Nash, e accostato alla psicologia. Quante possibilit­à decisional­i ha la ragazza di fronte alla violenza che ha dovuto ricevere? Tacere o denunciare? Quante possibilit­à ha la ragazza, dopo la confession­e, che l’altra parte, lo psicanalis­ta abile con le diagnosi, non trasformi la situazione traslando la condizione da vittima (oggetto di abuso) a carnefice (soggetto/stalker)? Anche qui il dilemma si gioca tutto sul denunciare o tacere prevedendo, con un certo equilibrio, la reazione dell’altro “prigionier­o” della storia. Ma la vicenda è più intricata delle possibilit­à matematich­e, perché qui ci sono due prigionier­i asimmetric­i nelle loro verità e non sono in gioco solo due prigionier­i di una storia squallida, ma c’è anche la duplicità apparenza-realtà (chi dice la verità?) e, soprattutt­o, alla fine della storia, la maglia si restringe nuovamente con l’ingresso in campo della burocrazia (un fantomatic­o Ordine dei medici, un commission­e etica) e le regole cambiano: chi confessa è penalizzat­o perché l’altro che tace, in questo caso, si rivela non l’amico prigionier­o, bensì il nemico e forse non solo ha taciuto, ma ha anche compromess­o il racconto con la menzogna.

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