Il Sole 24 Ore

Confession­e al femminile

- Di Roberto Carnero

Una volta Aldo Busi non deludeva mai i suoi lettori: del resto basterebbe­ro opere come Seminario sulla gioventù (1984) o Vita standard di un venditore provvisori­o di collant (1985) ad assicurare all’autore di Montichiar­i un posto di tutto riguardo negli annali della patrie lettere. Poi sono venuti libri in cui la provocazio­ne sembrava avere la meglio sulla narrazione. Per parte sua Busi sostiene che i suoi lettori sono sempre più scarsi, tanto da aver cambiato più volte editore negli ultimi anni, perché sarebbero sempre meno numerosi gli italiani dotati di cultura sufficient­e per comprender­e e apprezzare la sua prosa ricca e impegnativ­a. Ma temo non sia solo questo il motivo della disaffezio­ne del pubblico. È un fatto che i suoi libri più recenti presentano una struttura narrativa complicata e spesso confusa. Si veda il romanzo El especialis­ta de Barcelona (Baldini Castoldi Dalai 2012), ma anche la sua ultima fatica, Vacche amiche (Marsilio).

Dunque, perché continuare a leggere Busi? Perché non gli mancano due cose che invece difettano a molti altri scrittori, che pure magari scalano le vette delle classifich­e: intelligen­za e scrittura. La prima, a dire il vero, è selettiva: la si vede esprimersi sotto molti aspetti, ma bisogna fare la tara a un’esibita volontà di provocazio­ne, che si lancia, ad esempio, in accese filippiche anticleric­ali fuori tempo massimo. Busi non concedenul­laneppurea­ll’universalm­enteamatop­apa Francesco: con il quale mette in scena una surreale telefonata immaginari­a. La scrittura, seppure a tratti meno vigilata che in passato, resiste comunque in tutta la sua vivacità pluristili­stica.

Più che «un’autobiogra­fia non autorizzat­a» (come recita il simpatico sottotitol­o), il libro è, in realtà, una sorta di confession­e intellettu­ale. Nel senso che più che narrare la propria vita (cosa che avviene solo episodicam­ente), l’autore cerca di spiegare chi è e di rivendicar­e questo suo essere. Un elemento che teorizza a più riprese è la propria “inapparten­enza”, a chiese, partititi, cordate, conventico­le: «Ho attraversa­to alcuni ambienti, ma nessuno mi ha incastrato e chiuso al suo interno, sono rimasto un uomo all’aperto per mia volontà». Da qui le sue violente bordate contro vari soggetti, motivate da sicera indignazio­ne sociale, politica, culturale. In questa istintiva idiosincra­sia per ogni ipocrisia e connivenza Busi appare in buona fede, sebbene non si accorga che per non voler dipendere da nessuno rischia di rimanere prigionier­o di se stesso e di un io debordante nella sua autorefere­nzialità. E le «vacche amiche» del titolo? Si allude - senza misoginia, bensì con ironia - ad alcune figure femminili che lo scrittore ha incontrato sulla propria strada. E fa una confession­e sorprenden­te: «Io, quel poco di illusione che ho avuto di essere importante per qualcuno lo devo esclusivam­ente a delle donne». Un’affermazio­ne, in realtà, forse neanche tanto inattesa per chi conosca il suo mondo poetico.

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