Confessione al femminile
Una volta Aldo Busi non deludeva mai i suoi lettori: del resto basterebbero opere come Seminario sulla gioventù (1984) o Vita standard di un venditore provvisorio di collant (1985) ad assicurare all’autore di Montichiari un posto di tutto riguardo negli annali della patrie lettere. Poi sono venuti libri in cui la provocazione sembrava avere la meglio sulla narrazione. Per parte sua Busi sostiene che i suoi lettori sono sempre più scarsi, tanto da aver cambiato più volte editore negli ultimi anni, perché sarebbero sempre meno numerosi gli italiani dotati di cultura sufficiente per comprendere e apprezzare la sua prosa ricca e impegnativa. Ma temo non sia solo questo il motivo della disaffezione del pubblico. È un fatto che i suoi libri più recenti presentano una struttura narrativa complicata e spesso confusa. Si veda il romanzo El especialista de Barcelona (Baldini Castoldi Dalai 2012), ma anche la sua ultima fatica, Vacche amiche (Marsilio).
Dunque, perché continuare a leggere Busi? Perché non gli mancano due cose che invece difettano a molti altri scrittori, che pure magari scalano le vette delle classifiche: intelligenza e scrittura. La prima, a dire il vero, è selettiva: la si vede esprimersi sotto molti aspetti, ma bisogna fare la tara a un’esibita volontà di provocazione, che si lancia, ad esempio, in accese filippiche anticlericali fuori tempo massimo. Busi non concedenullaneppureall’universalmenteamatopapa Francesco: con il quale mette in scena una surreale telefonata immaginaria. La scrittura, seppure a tratti meno vigilata che in passato, resiste comunque in tutta la sua vivacità pluristilistica.
Più che «un’autobiografia non autorizzata» (come recita il simpatico sottotitolo), il libro è, in realtà, una sorta di confessione intellettuale. Nel senso che più che narrare la propria vita (cosa che avviene solo episodicamente), l’autore cerca di spiegare chi è e di rivendicare questo suo essere. Un elemento che teorizza a più riprese è la propria “inappartenenza”, a chiese, partititi, cordate, conventicole: «Ho attraversato alcuni ambienti, ma nessuno mi ha incastrato e chiuso al suo interno, sono rimasto un uomo all’aperto per mia volontà». Da qui le sue violente bordate contro vari soggetti, motivate da sicera indignazione sociale, politica, culturale. In questa istintiva idiosincrasia per ogni ipocrisia e connivenza Busi appare in buona fede, sebbene non si accorga che per non voler dipendere da nessuno rischia di rimanere prigioniero di se stesso e di un io debordante nella sua autoreferenzialità. E le «vacche amiche» del titolo? Si allude - senza misoginia, bensì con ironia - ad alcune figure femminili che lo scrittore ha incontrato sulla propria strada. E fa una confessione sorprendente: «Io, quel poco di illusione che ho avuto di essere importante per qualcuno lo devo esclusivamente a delle donne». Un’affermazione, in realtà, forse neanche tanto inattesa per chi conosca il suo mondo poetico.