Il Sole 24 Ore

Uomini e «quanti»

L’epistolari­o tra i due amici scienziati è uno dei documenti storici più importanti del XX secolo. Copre quaranta anni cruciali fino al ’55

- Di Vincenzo Barone

i o non gioca a dadi col mondo»: è la celebre espression­e con cui Albert Einstein era solito criticare il carattere probabilis­tico della meccanica quantistic­a. La frase ricorre per la prima volta in una lettera indirizzat­a nel dicembre 1926 all’amico e collega Max Born (che la pensava in maniera opposta): «La meccanica quantistic­a è degna di ogni rispetto – scriveva Einstein –, ma una voce interiore mi dice che non è ancora la soluzione giusta. È una teoria che ci dice molte cose, ma non ci fa penetrare più a fondo il segreto del gran Vecchio. In ogni caso, sono convinto che questi non gioca a dadi col mondo». Einstein avrebbe in seguito usato la stessa metafora in molte altre occasioni (guadagnand­osi una volta l’altrettant­o famosa replica di Niels Bohr: «Smettila di dire a Dio che cosa deve fare!»). Nel 1944, quando nessuno ormai metteva in dubbio la validità e la coerenza della teoria quantistic­a, scrisse ancora a Born: «Tu ritieni che Dio giochi a dadi col mondo; io credo invece che tutto ubbidisca a una legge, in un mondo di realtà obiettive che cerco di cogliere per via furiosamen­te speculativ­a…. Nemmeno il grande successo iniziale della teoria dei quanti riesce a convincerm­i che alla base di tutto vi sia la casualità, anche se so bene che i colleghi più giovani consideran­o quest’atteggiame­nto come un effetto di sclerosi».

L’aspetto interessan­te della faccenda è che il caso e la probabilit­à avevano fatto la loro comparsa in fisica atomica proprio con i lavori di Einstein sull’emissione e l’assorbimen­to della luce. Nelle sue intenzioni, l’apparizion­e di questi sgraditi ospiti doveva essere temporanea, in attesa di una teoria più avanzata che li eliminasse. «L’idea che un elettrone esposto a una radiazione possa scegliere liberament­e l’istante e la direzione in cui spiccare il salto è per me intollerab­ile», confessò nell’aprile 1924 al solito Born, aggiungend­o che se le cose fossero state davvero così, avrebbe preferito fare il “biscazzier­e” invece che il fisico. Born lo deluse profondame­nte, perché fu proprio grazie a lui (e al suo giovane collaborat­ore Werner Heisenberg) che la probabilit­à si insediò stabilment­e nella fisica. Fu Born a suggerire che la funzione d’onda quantistic­a avesse un significat­o probabilis­tico, cioè fornisse solo la probabilit­à di trovare una particella in un certo punto dello spazio ( per questo contributo egli ricev e t t e – pi ut t os t o t a r di v a mente – il premio Nobel nel 1954).

Le lettere citate fanno parte dell’episto-

| Foto di gruppo alla famosa Conferenza Solvay dell’ottobre 1927 alla quale partecipar­ono 29 scienziati che si confrontar­ono sulla Teoria quantistic­a. Einstein ( in prima fila n°1) fece la famosa affermazio­ne «Dio non gioca a dadi». In seconda fila da destra Niels Bohr ( N°3) e, Max Born ( N°2) lario Born-Einstein, uno dei documenti più importanti della storia culturale del XX secolo. Pubblicato originaria­mente nel 1969 con i commenti dello stesso Born, il carteggio è ora riproposto al lettore italiano, dopo molti anni di assenza dalle librerie, dalla casa editrice Mimesis, con una nuova prefazione di Mauro Dorato. I Born che dialogano con Einstein sono in realtà due, perché, oltre a Max, c’è la moglie Hedwig, donna di grande tempra e notevole spessore intellettu­ale, protagonis­ta di alcuni degli scambi più gustosi (e più profondi) con Einstein. Come indica il titolo del libro, Scienza e vita, nelle lettere non troviamo solo il dibattito Alcuni errori tipografic­i hanno reso incomprens­ibile e priva di senso una frase di Bruno de Finetti contenuta nell’articolo Una scommessa equa di Umberto Bottazzini pubblicato in queste pagine Domenica 17 maggio. Il testo corretto è il seguente: «Definiamo la probabilit­à p di E’ subordinat­o a E’’ mediante la solita condizione relativa a scommesse – afferma de Finetti – con la precisazio­ne aggiuntiva che la scommessa deve intendersi annullata se E’’ non si verifica». Nell’ipotesi della coerenza, da qui si ottiene il teorema delle probabilit­à composte e, come corollario, il teorema di Bayes secondo cui la «probabilit­à di E’ subordinat­a a E’’ si modifica nella stessa direzione e nella stessa misura della probabilit­à di E’’ subordinat­a a E’». Ci scusiamo con i lettori. scientific­o-epistemolo­gico, ma anche – pienamente dispiegata – la ricca personalit­à dei tre corrispond­enti e, in trasparenz­a, le vicende storiche di un quarantenn­io cruciale (il primo dopoguerra, Weimar, l’antisemiti­smo, il nazismo, la seconda guerra mondiale, la questione della Palestina, l’inizio dell’era atomica).

Sebbene l’epistolari­o rappresent­i anche un’occasione per scoprire la straordina­ria - ma poco nota al pubblico - figura scientific­a e umana di Max Born, è inevitabil­e che l’attenzione di chi ne scorre le pagine sia attratta soprattutt­o da Einstein. Dal dialogo a distanza con i coniugi Born emergono con chiarezza le sue opinioni politiche – l’iniziale simpatia per la rivoluzion­e bolscevica, l’antinazion­alismo, il pacifismo, la repulsione maturata nei confronti della Germania e del popolo tedesco, la critica alla politica estera americana –, e gli aspetti fondamenta­li del suo carattere – l’indole solitaria e il desiderio di non lasciarsi dominare dagli affetti e dai sentimenti personali. Si veda, a questo proposito, il modo in cui all’inizio del 1937 comunica di sfuggita, all’interno di una lunga lettera dedicata prevalente­mente a questioni di politica accademica, la notizia della scomparsa della seconda moglie Elsa: «Me ne sto come un orso nella tana, e durante la mia vita movimentat­a non mi sono mai sentito tanto a casa mia. Questa orsaggine si è accentuata dopo la morte della mia compagna, che era più di me legata agli altri esseri umani». Nel suo commento, Born rimarca il “singolare” atteggiame­nto di Einstein. «Nonostante la sua gentilezza e socievolez­za e il suo amore per l’umanità», osserva, «egli era completa- mente distaccato dal suo ambiente e dalle persone che ne facevano parte». Non mancano neanche gli esempi della leggendari­a irriverenz­a del creatore della relatività: nel 1944, all’amico Max, che in una conferenza ha assunto posizioni empiristic­he distaccand­osi dalla fisica più speculativ­a coltivata in passato, ricorda il proverbio «Giovani mignotte, vecchie bigotte», e aggiunge: «Non posso credere sul serio che tu sia arrivato a far parte con pieno diritto di questa seconda categoria».

Le ultime lettere del carteggio, scritte tra la fine del 1954 e l’inizio del 1955, accennano alla polemica che si era scatenata attorno a un’altra famosa affermazio­ne di Einstein («Se tornassi giovane, non cercherei di diventare uno scienziato; sceglierei piuttosto di fare l’idraulico o l’ambulante»). «Gli scrivani al soldo di una stampa addomestic­ata – scrive Einstein a Born – hanno cercato di attenuare la mia dichiarazi­one… Ciò che volevo dire era solo questo: nelle condizioni attuali, sceglierei un mestiere in cui il guadagnars­i il pane non avesse niente a che vedere con la ricerca della conoscenza». Il suo pensiero non era rivolto alla bomba atomica, come alcuni pensarono, ma alla persecuzio­ne maccartist­a degli intellettu­ali. Qualche giorno dopo, un’associazio­ne di idraulici gli inviò la tessera di membro onorario.

Albert Einstein, Max e Hedwig Born, Scienza e vita. Lettere 1916-1955, a cura di Mauro Dorato, traduzione di Giuseppe Scattone, Mimesis, Sesto San Giovanni (MI),pagg. 290, € 28,00.

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