Il Sole 24 Ore

Buddha per grandi e piccini

- Di Giuliano Boccali

Discendent­e del sultano del Mysore, figlia di un principe indiano, musicista e maestro spirituale sufi, e della sua sposa americana; nata a Mosca, vissuta a Londra, poi a Parigi dove studia psicologia alla Sorbona, composizio­ne per arpa e pianoforte al Conservato­rio sotto la guida di Nadia Boulanger, nella sua vita brevissima Noor Inayat Khan (Mosca 1914-Dachau 1944) avrebbe dato prova di un’umanità completa, commovente, colta ed eroica al tempo stesso. Bella e riservata, lavora scrivendo poesie e racconti per bambini; all’invasione nazista della Francia ripara di nuovo a Londra con la famiglia, da lei stessa guidata dopo la morte del padre nel 1927. Pacifista per tradizione familiare e per convinzion­e, il forte senso di responsabi­lità la spinge tuttavia ad arruolarsi nel Woman’s Auxiliary Air Force dell’Impero Britannico; è inviata nel giugno del 1943 in Francia per affiancare la Resistenza francese come operatrice radio, con il nome in codice di Madeleine. Nonostante l’arresto di diversi suoi compagni, non rientra in Inghilterr­a e non interrompe la trasmissio­ne dei suoi messaggi; tradita e consegnata alla Gestapo, deportata nel carcere di Pforzheim, interrogat­a a lungo e probabilme­nte torturata, si rifiuta sempre di rivelare qualsiasi informazio­ne. Trasferita a Dachau con tre altre agenti del servizio segreto radiofonic­o, venne fucilata insieme a loro il 13 settembre 1944. Insignita alla memoria delle più alte onorificen­ze militari francesi e inglesi, una sua effigie in bronzo è stata inaugurata ai Gordons Square Gardens di Londra l’8 novembre 2012.

Ci siamo soffermati sulla straordina­ria e tragica biografia di Noor Inayat Khan non solo per la ricchezza di valori che la distingue, su uno sfondo di assoluta semplicità e discrezion­e, ma anche – in un’epoca di polemiche e di violenze assurde e ottuse, dall’interno e dall’esterno dell’islam – come esempio di una grande figura mussulmana che riunisce in sé i valori spirituali e sociali della propria fede e della civiltà occidental­e (l’ultima sua parola prima dell’esecuzione è stata «libertà»).

Forse queste parole urterebber­o i confini della sua personalit­à, descritta come “timida e sensibile”,

anche perché l’occasione che le suggerisce – vorrei dire che le impone – è quella della traduzione italiana di un suo libro, Venti vite del Buddha, da poco uscito per ellint nella traduzione di Federica Alessandri. Della personalit­à di Noor Inayat Khan quest’opera, delicata e immaginosa, riflette infatti l’aspetto sognante e fiabesco, che pare a me il più profondo, capace di assorbire e catalizzar­e miracolosa­mente quelli etici ed eroici. (Interessan­te in proposito è ricordare che i suoi superiori dubitarono a lungo se inviarla in Francia, ritenendol­a fragile).

Pubblicato a Londra nel 1939, il libro è dedicato ad adulti e bambini, e raccoglie appunto venti delle vite anteriori del Buddha (i famosi jataka, con il termine sanscrito), quando colui che sarebbe divenuto il Risvegliat­o si era manifestat­o sulla terra in forme animali – scimmia, lepre, bufalo, elefante… – già esemplari per la generosità, la benevolenz­a, la dedizione a salvare gli esseri senzienti dai dolori della vita. Tutti valori che, nel giro di rinascite spiritualm­ente sempre più progredite, avrebbero infine portato colui che li testimonia­va a rinascere come il principe Siddhartha, destinato a raggiunger­e il Risveglio, l’illuminazi­one. Certo i sentimenti profondi dell’anima di Noor, co- me l’aspirazion­e alla non-violenza e al sacrificio, non dovevano essere estranei alla scelta di divulgare in Occidente storie della colorata fantasia buddhista, attinte dalle migliori fonti disponibil­i nell’Europa del primo Novecento. Attinte e riscritte con sensibilit­à lieve e trasognata, inscenate nel folto di foreste silenziose, di oasi incantate, di città stregate; da dove si leva unico l’invito alla compassion­e, all’amore dell’altro e, più segretamen­te, alla signoria su se stessi e all’autoconsap­evolezza.

Non ultimo fra i pregi del libro, le dimensioni minuscole: fortunatam­ente non mancano, nel nostro Paese, raccolte di Jataka molto ben curate e corredate, t utte di dimensioni i mponenti. Così, l’opera di Noor Inayat Khan offre a chi – adulto o piccino – non conoscesse ancora fiabe e sentimenti buddhisti una via d’accesso piana e invitante.

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