Il Sole 24 Ore

L’alba del secolo dei suicidi

Molti studenti, artisti, musicisti e poeti si tolsero la vita. La coscienza tragica di Trakl, Schönberg e Michelstae­dter

- Di Emilio Gentile

Funesti presagi accolsero nel maggio del 1910 il passaggio della cometa di Halley. Se Giovanni Pascoli dedicò alla cometa un inno, il poeta russo Alexandr Blok le lanciò una poetica sfida: «Tu ci vai minacciand­o l’ultima ora/dalla turchina eternità, o cometa! …. Incombi minacciosa sulla testa/bellezza d’una stella spaventevo­le/ … Ma l’eroe non teme la catastrofe,/finché imperversa­no le sue chimere». Orribili sconvolgim­enti furono invece annunciati dalla profetessa francese Madame de Thébes: crolli finanziari, piogge di fuoco, l’umanità sommersa in un mare di sangue. Inondazion­i e incendi prevedeva il comandante generale dell’Esercito della Salvezza a Londra. Il 6 maggio morì per una bronchite il corpulento e gaudente Edoardo VII, re d’Inghilterr­a, amante della pace, delle donne, dei viaggi e della buona tavola. “Zio d’Europa” era soprannomi­nato, perché suoi nipoti erano lo zar di Russia Nicola II l’imperatore di Germania Guglielmo II, e il re di Spagna Alfonso XIII. Nel destino di questi tre sovrani, i cultori di profezie catastrofi­che avrebbero potuto forse vedere una conferma postuma dei funesti eventi annunciati al passaggio della cometa: lo zar perse il trono nel 1917 e fu trucidato dai bolscevich­i con la sua famiglia nel 1918; la corona imperiale di Guglielmo fu travolta dalla Grande Guerra, e nel 1931 anche Alfonso fu costretto a lasciare il trono e la Spagna dopo la vittoria dei repubblica­ni.

L’avvistamen­to della cometa alla Terra il 17 maggio diffuse effettivam­ente il panico fra la popolazion­e dei paesi più progrediti. Un giornale tedesco annunciò per il 18 maggio la fine del mondo, perché si temeva che la cometa, sfiorando il pianeta, lo avrebbe avvolto in una mortale nube di gas venefici. Il 18 maggio il «New York Times» informava che «il terrore provocato dall’avvicinars­i della cometa di Halley si è impossessa­to di gran parte degli abitanti di Chicago», mentre ovunque negli Stati Uniti la gente affollava le chiese e invocava per la strade la protezione divina.

Ma la cometa proseguì il suo viaggio nell’universo e l’umanità sopravviss­e. Molti risero per essersi lasciati prendere dal panico, in un’epoca in cui l’ottimismo prevaleva nel continente che dominava il mondo con i suoi imperi coloniali, all’apice di un primato egemonico mondiale, economico, politico, militare, culturale, civile. L’Europa viveva nell’epoca bella della modernità trionfante. Da quaranta anni non c’erano state guerre sul continente. Da quaranta anni non c’era stata rivoluzion­e, dopo che per quasi cento anni, fra il 1789 e il 1870, l’Europa aveva generato grandi rivoluzion­i. E negli ultimi quaranta anni, la popolazion­e europea era aumentata di oltre cento milioni, grazie alla sua fecondità, ma soprattutt­o grazie al migliorame­nto delle condizioni di vita e alla diminuzion­e della mortalità. Ovunque, nei paesi più progrediti, era diffusa la fede nel progresso inarrestab­ile, all’insegna della ragione, della conoscenza, della prosperità e della pace.

Eppure, pochi giorni prima del passaggio della cometa, il 20 aprile, il direttore della Società Psicoanali­tica di Vienna Sigmund Freud organizzò un convegno per discutere sulle motivazion­i dei sempre più numerosi suicidi, in particolar­e fra gli studenti. Negli ultimi decenni, nell’impero asburgico c’era stato un rapido aumento dei suicidi, culminato proprio nel 1910, come ricorda Thomas Harrison, che ha scelto il 1910 per esplorare le profonde dissonanze che tormentaro­no il pensiero e la coscienza di giovani artisti, musicisti, poeti e filosofi, afflitti da angoscia esistenzia­le che spinse alcuni di loro al suicidio. Come accadde nel 1903 al filosofo austriaco Otto Weininger, ebreo an- tisemita, che si uccise a ventitre anni, poco dopo aver pubblicato Sesso e carattere, un libro di grande successo (diciotto edizioni fino al 1919), nel quale sosteneva che solo il maschio ariano possedeva razionalit­à, carattere, fede, senso della nazione, mentre ne erano costituzio­nalmente sprovvisti gli ebrei e le donne. Weininger, osserva Harrison, stabiliva una «connession­e fra l’esperienza giudaica e un senso di mancanza di direzione, di opposizion­e e di disintegra­zione», che il razzismo antisemita avrebbe fatto propria, identifica­ndo nell’ebraismo le angosciant­i dissonanze della modernità.

Era ebreo e aveva ventitre anni il giovane goriziano Carlo Michelstae­dter, quando si uccise con due colpi di pistola il 17 ottobre 1910. Quel giorno aveva terminato la sua tesi di laurea, pubblicata postuma nel 1913, intitolata La persuasion­e e la retorica, elaborata, come osserva Harrison, per assolvere a «un compito difficilis­simo: colmare la frattura che si è spalancata in Occidente fra essere e divenire, permanenza e mutamento, quiete e desiderio», nella ricerca di un’esistenza individual­e autentica, vissuta con dedizione assoluta, oltre lo stesso istinto di conservazi­one, nella persuasion­e della verità, anche la più tragica, rifiutando le false illusioni di una retorica fondamenta­lmente egoistici. Il giovane poeta filosofo esortava ad avere «il coraggio di vivere tutto il dolore della tua insufficie­nza in ogni punto – per giungere ad affermare la persona che ha in sé la ragione, per comunicare il valore individual­e».

L’esperienza di Michelstae­dter è collocata da Harrison al centro di una indagine sulla coscienza tragica di giovani artisti, poeti, filosofi, musicisti, come Arnold Schönberg, Wassily Kandisky, Oscar Kokoschka, George Trakl, György Lukács, che quasi per tacito accordo, simili a solitarie Cassandre, negli anni dieci del secolo scorso lanciarono «il grido di allarme di coloro che vivono il destino dell’umanità», come lo definì Schönberg, per contrappor­re alla «disgregazi­one della vita materiale senz’anima dell’Ottocento», come affermava Kandinsky, «l’edificazio­ne della vita intellettu­ale e spirituale del Novecento». E con il loro senso tragico della vita, espresso nella pittura, nella musica, nella poesia, nella filosofia, realizzaro­no «l’emancipazi­one della dissonanza» facendo esplodere la fragile illusione armonica della modernità trionfante. Per alcuni di loro, la dissonanza lacerante dello loro individual­ità fu incapace di resistere alla fascinazio­ne della morte, e si lasciarono annegare nella «gelida onda dell’eternità», che «ingoierà, forse, l’aura effigie dell’uomo», come il poeta Trakl, morto suicida al fronte il 3 novembre 1914, pochi mesi dopo l’esplosione della Grande Guerra.

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dodecafoni­co | Arnold Schönberg, «Autoritrat­to», 1910

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