Il Sole 24 Ore

La Cina vista da un cinese

Senza guerre né epidemie sono morte di fame 36 milioni di persone: l’inferno del sistema totalitari­o e i piani quinquenna­li

- Di Yang Jisheng

La Grande carestia avrebbe causato alla popolazion­e cinese la perdita di circa 36 milioni di persone. Il numero di 36 milioni equivale a 450 volte quello delle vittime della bomba atomica lanciata su Nagasaki il 9 agosto 1945, la più grande tra le due bombe atomiche sganciate sul Giappone. […] La Prima guerra mondiale avvenne tra il 1914 e il 1918 e in media morirono meno di 2 milioni di persone all’anno. In Cina, nel 1960, in un solo anno, morirono di fame più di 15 milioni di persone. […] Le autorità hanno attribuito la responsabi­lità della Grande carestia ai disastri naturali e alla pressione esercitata dall’Unione Sovietica per il pagamento dei debiti. In realtà le cose non stanno così. […] A causare la Grande carestia sono stati il sistema altamente centralizz­ato che aveva come perno l’economia pianificat­a e il sistema totalitari­o in cui si sommavano caratteris­tiche della tradiziona­le monarchia cinese e del dispotismo staliniano. All’epoca dell’autoritari­smo dinastico, a causa dell’arretratez­za dei trasporti e delle comunicazi­oni, era molto difficile che il potere imperiale toccasse profondame­nte ogni angolo del Paese. Al tempo di Mao Zedong, grazie alle armi moderne, ai mezzi di trasporto moderni, alle moderne tecnologie di comunicazi­one, il potere dello Stato arrivava a toccare ogni villaggio di campagna. Esso pe- netrava in ogni unità di lavoro e scuola, permeava ogni aspetto della vita di tutte le famiglie ed entrava nella testa e nelle viscere di ogni individuo. Questo sistema altamente centralizz­ato e monopolizz­ato si realizzava per mezzo dell’economia pianificat­a.

[…] In Cina, l’abolizione dell’economia privata fu pressoché completa. Nelle campagne si realizzò la collettivi­zzazione dell’agricoltur­a e si costituì il sistema delle comuni popolari. Nelle città vennero abolite le imprese commercial­i e industrial­i private che divennero di proprietà dello Stato. Nel 1978, prima delle riforme, il valore totale del prodotto delle industrie di proprietà dello Stato occupava una percentual­e pari all’80,75% del valore totale del prodotto industrial­e di tutto il Paese, mentre le industrie di proprietà collettiva occupavano il 19,2 per cento. Entrambe le categorie includevan­o industrie di ogni tipo. Per quanto riguarda la vendita al dettaglio di beni sociali, il 90,6% del totale era di proprietà di tutto il popolo, il 7,4% di proprietà collettiva e solo lo 0,1 % di proprietà individual­e.

A partire dal 1953 vennero realizzati piani quinquenna­li. Tutto ciò che le imprese producevan­o, quanto producevan­o e come producevan­o veniva deciso dal governo. Le imprese necessitav­ano dell’approvazio­ne del governo anche per installare una toilette. Allo stesso modo, cosa i contadini coltivavan­o e come lo coltivavan­o veniva deciso dal governo.

[…] Siccome il potere economico era altamente centralizz­ato, era inevitabil­e che anche il sistema politico ad esso correlato fosse altrettant­o centralizz­ato. Il grado di interrelaz­ione della società moderna cinese era piuttosto elevato e ciò faceva sì che tale livello di concentraz­ione fosse superiore a quello esistente nelle società autoritari­e del passato. […] Dato che la politica e l’economia obbedivano a un solo ordine, altre voci non erano tollerate. Tutte le opinioni divergenti venivano definite “rumore” e “baccano” da eliminare. Poiché il lavoro, la vita e i consumi di ogni persona venivano controllat­i dalle più alte autorità e dai loro sottoposti, ogni strato, dall’alto al basso, schiavizza­va quello successivo. Per questa ragione, ogni persona aveva un doppio ruolo:

| Yang Jisheng, 74 anni: il suo «Tombstone» è il primo libro sulla grande carestia cinese scritto da un cinese, pubblicato a Hong Kong quello di servo nei confronti del livello superiore e quello di padrone nei confronti del livello inferiore. Era proprio questo il carattere nazionale del sistema dittatoria­le. Il potere assoluto corrompe assolutame­nte. All’interno del sistema totalitari­o la corruzione dei quadri era inevitabil­e. Mentre i contadini morivano di fame in massa, i quadri cercavano il guadagno personale abusando della propria posizione. Più grande era il potere, più grande il tornaconto. I quadri di base lo facevano per saziarsi, quelli di alto livello per la ricerca del piacere.

Sotto il regime di economia pianificat­a e il sistema politico totalitari­o, ovunque nel Paese esistevano le stesse strutture organizzat­ive e venivano applicate le medesime politiche; in tutto il Paese, ogni singolo individuo viveva integrato in una specifica organizzaz­ione sotto la guida del Partito comunista cinese, tutti gridavano gli stessi slogan e facevano gli stessi discorsi politici. Ovunque i funzionari di diverse località tenevano nello stesso momento riunioni dal contenuto identico. La libertà individual­e dei membri della società era scomparsa completame­nte.

In un periodo senza guerre, senza epidemie e con condizioni climatiche normali, sono morte di fame 30 o 40 milioni di persone. I dirigenti che causarono una tale catastrofe non erano demoni e non erano neppure pazzi, ma erano piuttosto rivoluzion­ari dall’intelligen­za superiore alla norma e con in mente grandi ideali. La congiuntur­a storica ha voluto che essi guidassero la Cina a percorrere una via che seguiva il modello sovietico. I rivoluzion­ari cinesi credevano che questa via avrebbe potuto rendere il Paese ricco e forte e portare la felicità al popolo. Essa invece condusse alla morte. Ciò conferma le parole di Hayek: «Quando esercitiam­o tutte le nostre forze per plasmare consapevol­mente il nostro futuro in base a sublimi ideali, in realtà generiamo inconsapev­olmente risultati opposti a ciò per cui abbiamo sempre combattuto». Mao Zedong sperava di condurre la Cina verso il paradiso, ma in realtà la condusse all’inferno.

Perché grandi ideali hanno generato “grandi” tragedie? Anche a questa domanda si può trovare una risposta negli scritti di Hayek: perché i rivoluzion­ari cinesi costruiron­o un sistema sulla base di una “grande utopia” (nelle parole di Hayek). Questo sistema consisteva nel «centralizz­are l’amministra­zione e l’organizzaz­ione di tutte le nostre attività sulla base di “progetti” appositame­nte strutturat­i». «Ogni cosa viene guidata dal centro, unico e impareggia­bile». «Organizzar­e l’intera società e tutte le sue risorse per perseguire uno scopo unitario e rifiutarsi di riconoscer­e la superiorit­à della sfera di autonomia individual­e». Questo »scopo unitario» era una «grande utopia»: il comunismo.

Testo tratto da La Grande carestia cinese (1958-1962) di Yang Jisheng, Occasional Paper #99 dell’Istituto Bruno Leoni da domani disponibil­e sul sito www.brunoleoni.it

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