Decifrare il «Codice Italia» N
ei giorni della preview, quando la Biennale di Venezia è aperta soltanto agli addetti ai lavori (artisti, curatori, collezionisti, galleristi, giornalisti, etc. etc.) il Padiglione Italia, alle Tese delle Vergini all’Arsenale, era visitato con aria di sufficienza - e piuttosto frettolosamente - dall’intellighenzia artistica nostrana, mentre suscitava interesse e apprezzamenti da parte di persone sconosciute ai più. Come mai? Forse perché il curatore, Vincenzo Trione, ha invitato 15 artisti italiani a esercitarsi sul tema della memoria, in una Biennale che indaga mondi futuri? Oppure perché ci si aspettava da lui una selezione più coraggiosa e limitata a uno o due autori al massimo, come avviene nella maggior parte degli altri padiglioni nazionali, e come già fece Ida Giannelli nel 2007, quando invitò a rappresentare l’Italia soltanto Giuseppe Penone e Francesco Vezzoli?
La mostra voluta da Trione si intitola Codice Italia ed è un’antologica con operemanifesto, allestite da Giovanni Francesco Frascino in 15 spazi autonomi, come fossero stanze monografiche, una per artista. A sostenere le spese sono stati il Governo Italiano e l’Alitalia, accanto a collezionisti di lungo corso come Patrizia Sandretto Re Rebaudengo e Brunello Cucinelli; mentre ogni artista ha realizzato l’intervento site specific a sue spese, oppure si è fatto aiutare nella produzione dai suoi mercanti e collezionisti privati.
Il tema di fondo, condiviso dal Commissario Federica Galloni, è quello di individuare una genetica artistica prettamente italiana, quella capace di fare i conti con una grande storia che ci precede (siamo nani sulle spalle di giganti) e una grande tradizione, intesa però alla Stravinsky, ossia non la testimonianza di un passato concluso, ma una forza viva che informa di sé il presente. A svolgerlo sono stati chiamati alcuni protagonisti dell’Arte Povera (Jannis Kounellis e Nino Longobardi) e della Transavanguardia (Mimmo Paladino); personalità isolate (Claudio Parmiggiani e Paolo Gioli) ed eredi delle neoavanguardie del Dopoguerra (Aldo Tambellini); artisti non riconducibili a precise tendenze (Andrea Aquilanti, Antonio Biasiucci, Giuseppe Caccavale) e voci tra le più originali dello scenario internazionale (Vanessa Beecroft). Ma è forse tra le opere degli artisti dell’ultima generazione (Alis/Filliol, Francesco Barocco, Marzia Migliora, Luca Monterastelli e Nicola Samorì) che si trovano gli interventi più convincenti: soprattutto l’onirica installazione Natura in posa della Migliora che, tra l’anta di un armadio e uno specchio magico, fa rivivere un angolo della cascina paterna, ammassata di pannocchie. Oppure il film del regista Davide Ferrario Umberto Eco. Una conversazione in tre parti: il cui ricordare è un movimento in avanti, capace di animare anche il nostro oggi.
Il tema del nostro padiglione nazionale è di individuare una genetica artistica prettamente italiana legata alla grande storia che ci precede