La fotografia in Esposizione
L’arte fotografica raccontata attraverso le mostre, dalla prima a Parigi nel 1839 fino alle Torri Gemelle
Semplicemente è uno dei libri più interessanti degli ultimi anni. Un “punto fermo” per cogliere l’evoluzione della fotografia da una visuale inedita, ma fondamentale, ovvero la mostra, la scelta delle immagini e del loro editing espositivo. Due esperienze cardine nella biografia di ogni curatore che Alessandra Mauro, forte della sua lunga esperienza, ha analizzato nel volume Photoshow. Le mostre che hanno segnato la storia della fotografia, edito da Contrasto. In una raccolta di undici saggi, firmati insieme a esperti internazionali, Alessandra Mauro riflette sulla natura del suo lavoro, magico e sacerdotale per certi aspetti, che consiste nel «riempire uno spazio fisico d’immagini fotografiche, rendendole accessibili a una fruizione collettiva e trasformando quello stesso spazio in un luogo diverso, speciale, dove la fotografia può raccontare una storia, sostenere una tesi, affermare uno sguardo. Se è vero, come diceva Édouard Manet, che preparare una mostra significa cercare alleati per una battaglia, tante sono quelle condotte dalla fotografia. Tutte, o quasi, per affermare un’identità linguistica, ribadire una presenza e un ruolo cruciale, se non addirittura a volte centrale, nella percezione e rappresentazione della realtà».
A sorpresa la prima mostra non è legata all’annuncio della “nascita” della fotografia, nel gennaio del 1839 a Parigi, ma a luglio dello stesso anno quando Hippolyte Bayard presenta in Rue des Jeûneurs una trentina di positivi diretti. La risposta inglese – le mostre di fotografia rientrano nell’arsenale bellico di ogni nazione che conta – giunge nel 1851 quando in occasione della Great Exhibition, sotto le volte trasparenti del Crystal Palace, viene presentata la prima mostra internazionale di fotografia con partecipazione di autori inglesi, francesi, americani e questi ultimi conquistano l’ammirazione generale. Punta nell’orgoglio, la Gran Bretagna rilancia e nel 1858 organizza una seconda esposizione con più di mille immagini nei saloni del South Kensington Museum, oggi V&A Museum. Ma i numeri non bastano e nel 1891, patrocinato dall’arciduchessa Maria Teresa, anche lei fotografa, il Wiemer Camera Klub organizza a Vienna un altro evento internazionale (per l’Italia partecipa Vittorio Sella), sostenendo «che l’interesse per le immagini prescinde dalle considerazioni sugli strumenti utilizzati per realizzarle». Idea rivoluzionaria ribadita con eguale forza nel 1929, quando a Stoccar- da si aprono i battenti di Film und Foto, prima mostra radicale del ’900. Tra gli autori, Laszlò Moholy-Nagy, Edward Weston, Edward Steichen, El Lissitzky. «Il mio intento – scrive il direttore, Gustav Stotz – è presentare nella maniera più completa i lavori di coloro che sono stati i primi a riconoscere la macchina fotografica come il principale strumento creativo della contemporaneità».
Tocca all’America a questo punto, forte dell’esperienza di Alfred Stieglitz e della sua Little Gallery of the Photographic Session, conquistare nuovi territori. Sarà il MoMA e i suoi curatori storici, da Beaumont Newhall a Edward Steichen, a John Szarkowski– dalla mostra Photography 1839-1937, dichiarazione di impegno nella fotografia da parte del museo, a Road to Victory del 1942, e ancora da Family of Man a New Documents del 1967, nella quale appaiono per la prima volta i lavori di Diane Arbus, Lee Friedlander e Garry Winogrand – segnare il passo per lungo tempo. La controffensiva europea riporta la battaglia in Francia, nei magnifici anni ’80, illuminati dalla presenza di Robert Delpire, direttore del Centre National de la Photographie di Parigi. Ed è a Delpire che Alessandra Mauro dedica il libro, accogliendo con affetto la sua intramontabile lezione.
2001, le Torri Gemelle. Poche ore dopo l’attentato Michael Shulan, artista e critico d’arte, appende una foto delle Twin Towers, realizzata qualche tempo prima, sulla vetrina di un negozio sfitto accanto al suo studio, al 116 di Prince Street nel quartiere di Soho. Inizia così una delle mostre più significative del terzo millennio, here is new york: a democracy of photographs, ribattezzata dall’acronimo in minuscolo hiny. A quella prima fotografia ne seguono altre, a migliaia, firmate da grandi fotografi come da sconosciuti. Sui muri e sui cavi tesi da una parete all’altra viene ricreato «un microcosmo di ciò che è avvenuto dopo il disastro al Ground Zero. Non una mostra d’arte nel senso convenzionale, ma un punto di raduno per l’intero quartiere», ricorda Shulan. Poco dopo le immagini diventano un’immensa mostra on line, che spinge anche l’esperienza espositiva verso l’immaterialità. Dissolti i confini dello stesso edificio, è possibile immaginare un museo virtuale che “esponga”, scelga e legittimi l’indistinto che quotidianamente alimenta la rete? Per adesso è successo il contrario. Nel 2011 Erik Kessel ha presentato al Foam di Amsterdam la mostra 24Hours of Photo, immensa valanga, o discarica, di immagini prodotte in sola una giornata su Flicker e Facebook, dalle quali “raccogliere” uno scatto. Nella sua battaglia, quasi retrò, il museo vincelarete, perchésoloqui, nell’accettazionedel limite fisico e mai onnipotente, possiamo ancora essere i curatori del nostro sguardo e scegliere. Photoshow. Le mostre che hanno segnato la storia della fotografia, a cura di Alessandra Mauro, Contrasto, Roma, pag. 272, € 45. Alessandra Mauro presenterà il volume in una lezione presso il Dipartimento delle Arti, Università di Bologna, il 25 maggio, alle ore 10, Aula Magna, Chiostro di Santa Cristina.