Il Sole 24 Ore

La Salomè tornata a Gerusalemm­e

- – Laura Leonelli

L’ha vista e l’ha amata. E dopo un corteggiam­ento furioso l’ha posseduta con gioia, folgorato dal quel corpo sinuoso e da quel ventre a riverberi di assenzio, quasi l’entrata in un paradiso di piacere. Quando Aldo Stock, grande collezioni­sta di arte triestina del ‘900, ha incontrato la Salomè dipinta da Edgardo Sambo intorno al 1920, non ha avuto dubbi. Quel dipinto, unico nella storia dell’artista, emblema delle sue inquietudi­ni secessioni­ste e simbolo di una crisi d’identità che coinvolse la stessa Trieste all’indomani della prima guerra mondiale, doveva essere suo. E così è stato, «convincend­o con tutte le possibili armi della seduzione e della lusinga la figlia di Sambo, Licia, che all’epoca viveva a Monopoli. Finalmente arriva il sì, e nel 1992 Salomè entra nella mia collezione», ricorda Aldo Stock, indicando una parete vuota nel salotto del suo hotel, l’«Albero Nascosto», indirizzo di charme a Trieste. Ma perché quell'assenza? «Perché l’estate scorsa sono tornato a Gerusalemm­e e visitando il magnifico Israel Museum ho sentito che la mia Shlomit, questo il suo nome in ebraico, doveva tornare a casa e doveva vivere in quelle sale». È una seconda folgorazio­ne. Pochi minuti, «invio la foto del dipinto al direttore del museo e con timidezza o follia gli offro il mio tesoro», prosegue Stock. Dopo un’ora, arriva la risposta, e di nuovo è sì. «Un sì che premia la qualità travolgent­e di un artista italiano, dimenticat­o in patria». Il capolavoro di Sambo oggi divide una delle gallerie più belle dell’IMJ Museum – tre milioni di visitatori l’anno - insieme a Klimt, Modigliani e Gauguin. Intimidita? «No, la nostra Salomè non ha paura di nessuno – ammette Aldo Stock – altrimenti come avrebbe retto alla notizia che il Jerusalem Post l’ha inserita nelle dieci cose da vedere a Gerusalemm­e?».

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| Opera di Edgardo Sambo (1920)
salomè | Opera di Edgardo Sambo (1920)

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