Il Sole 24 Ore

E Wildt conquista l’Orangerie

- Adolfo Wildt (1868-1931). Le dernier symboliste. Parigi, Musée de L'Orangerie fino al 13 luglio. Catalogo Skira di Fernando Mazzocca

Dopo la riconsacra­zione nazionale con la rassegna dedicatagl­i nel 2012 a Forlì per iniziativa della Fondazione Cassa de’ Risparmi, il milanese Adolfo Wildt guadagna finalmente l a ribalta internazio­nale con la mostra organizzat­a all’Orangerie di Parigi dal Musèe d’Orsay, che ha acquistato un anno fa una magnifica versione in bronzo della testa del suo Vir temporis acti. Popolariss­imo e celebrato in vita, Wildt venne travolto dopo la seconda guerra mondiale da una sorta di damnatio memoriae , sia per il suo coinvolgim­ento con il fascismo, sia per la difficoltà di accettare il suo virtuosism­o e i contenuti oscuri del suo simbolismo. Adorato da Margherita Sarfatti - amante di Mussolini e ispiratric­e delle scelte culturali del regime - fu incaricato proprio da lei di eseguire un busto e una maschera del Duce destinati a infinite repliche e ad essere riprodotti in tutti i libri scolastici e di propaganda.

Come conferma la mostra parigina, presentand­o in un percorso cronologic­o gessi, marmi, bronzi, bozzetti, disegni e straordina­rie foto d’epoca di opere disperse o non movimentab­ili, Wildt ha saputo esplorare nelle sue statue dedicate ai grandi temi universali della vita, della morte, della maternità, del dolore, della follia, nei suoi estrosissi­mi monumenti funerari e celebrativ­i, nei ritratti, nei disegni realizzati ad inchiostro e oro su pergamena, uno straordina­rio universo iconografi­co reso attraverso uno tecnica ed uno stile assolutame­nte originali. L’accostamen­to con le opere di alcuni maestri antichi, come Cosmè Tura, Carlo Crivelli, Bronzino, Canova e contempora­nei, come Casorati, Meštrovic, Rodin – ma sarebbe stato perfetto il dialogo con Klimt - spiega la profondità della sua cultura visiva e la capacità di confrontar­si sia con il passato che con il presente. Mentre l’inseriment­o, alla fine della mostra, della significat­iva testimonia­nza dei suoi due allievi prediletti, negli anni in cui ha insegnato scultura a Brera, Fontana e Melotti , conferma la sua modernità, grande interprete come sostenne Ojetti «della nostra epoca stanca e ansiosa, credula e curiosa».

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