L’incubo di non essere maturi
Debutta in Germania l’onirica e affilata opera di Cavazzoni, con la sapiente partitura di Ronchetti. Coppia da invidiare
AMannheim, città tedesca famosa nel Settecento perché sede della più innovativa orchestra d’Europa (visitata anche da Mozart) debutta in questi giorni una deliziosamente ironica opera italiana, Esame di mezzanotte. Nuovissima, commissionata dal Teatro Nazionale e firmata a quattro mani da Lucia Ronchetti ed Ermanno Cavazzoni, con la regia spettacolare, tecnologica e circense di Achim Freyer. Raramente si sono visti calare assi tanto prestigiosi per un titolo contemporaneo. E raramente si è tanto riso ad una creazione del nostro tempo. Perché grazie al perno del libretto di Cavazzoni - surreale, ma assolutamente rigoroso, in metrica esatta e maliziosamente devoto a tutte le convenzioni dell’opera buffa – in questo racconto del più classico incubo da ansia, la notte prima degli esami diventa un viaggio rocambolesco tra i libri. In una biblioteca bizzarra si accumulano non solo i testi più strani, come quelli da cui escono bambini veri, ma si conservano anche gruppi di studiosi talmente estremi da essere macerati e dimenticati, insieme ai loro scritti.
Opera orfica, Esame di mezzanotte è un’ora e mezza di musica, aguzza e smagata, della prestigiosa compositrice romana Lucia Ronchetti. Distribuita su una notte di otto ore, scandite da un campanone di campagna, si snoda su un’esattezza di tempo cronometrica, ingrediente di base del comico. Il viaggio nell’aldilà ha per protagonista un novello Orfeo dal nome promettente di Giro Lamento: e quanto si lamenta il giovane controtenore Matthew Shaw, dal timbro bizzarro e sfarfallante. Il suo è un salto nella biblioteca più assurda che si possa immaginare, alla ricerca, senza risultati, di un libro che lo salvi dall’imminente esame di maturità. Come vogliono i sogni, infatti, quello vero di esame, già sostenuto, è stato misteriosamente reso nullo. Nel viaggio, disegnato come un imbuto, nella scenografia misteriosa di Freyer, Giro (che fa rima con sospiro) si imbatte in personaggi bizzarri, coi quali intreccia adamantini duetti o quartetti, spesso con ricco sfondo corale. Alla fine emergerà, natural- mente. E la battuta conclusiva, risolutiva, collocata in modo straniante in un aeroporto, con un volo giustappunto in partenza, non solo chiude strategicamente il racconto, ma dona all’opera un epilogo a sorpresa, veloce, di perfetta e magica sonorità. Come si voleva nei capolavori da Monteverdi in avanti, dopo un estenuante sprofondare labirintico, la soluzione doveva essere per forza per moto contrario, ossia nell’ascesa tra le nuvole, e il più in alto possibile.
Quanto fa bene un buon libretto all’opera, quanto è fondamentale. Quanto spesso ci è mancato, nella produzione contemporanea. Cavazzoni, con il caratteristico stile insieme lieve e pungente, crea una serie di personaggi drammaturgicamente ideali: il direttore della biblioteca notturna, Rasorio, l’ottimo baritono Sebastian Pilgrim, sordo e dall’eloquio esclusivamente burocratico; i suoi due assistenti, autentici servi da commedia dell’arte; l’insonne Natale, calco del perenne amoroso sentimentale, in cerca di conforto dopo essere stato lasciato dalla donna amata, che, confessa, usata esclusivamente in funzione di cuscino per soavi pisolini. Non manca anche la tipica situazione di scambio di persona, ed è davvero buffissima: Giro Lamenti, che ha da poco trovato nella angelica bibliotecaria Iris una speranza di salvezza dall’inferno dei libri e dell’esame, viene perfidamente fatto incontrare con Albonea Bucato, terribile professoressa di greco (Philipp Alexander Mehr), che si esprime solo con un ricorrente «thalassa, thalassa», incubo dei ginnasiali. Con lei/lui si intreccia uno dei duetti più esilaranti dell’opera.
La comicità di Esame di mezzanotte è candida, innocente. Anche se lo spunto librario contiene stoccate in prima persona al mondo cui il librettista appartiene. Ma il tono complessivo è da osservatore distaccato, divertito più che distruttivo. E la minuziosa partitura di Lucia Ronchetti, fitta di impasti timbrici da sapiente orchestratrice, sposa con profonda affinità questa ricerca di trasparenze esatte, di contrappunto minuto, di paesaggi sonori continuamente cangianti. Compositrice dalle numerose esperienze internazionali, colta e raffinata, mira agli affetti sottili, all’ammicco intelligente, alla notazione esattissima. Tra i due archetipi, razionale e emotivo, la sua scrittura appartiene certamente alla prima categoria, sfatando i luoghi comuni di appartenenza delle donne. Con Cavazzoni aveva già collaborato in una recente Anatra al sal, in scena a Villa Medici l’autunno scorso per Romaeuropa Festival. La parodia, il gusto per l’incontro evocativo tra parola e suoni, lo stupendo mestiere sull’invenzione vocale si ritrovano qui in un progetto più importante, che sancisce un incontro elettivo. La variegata declinazione del canto, con insistito uso di un moderno “recitarcantando” è reinvenzione del passato, ma anche omaggio a un delicato, ironicissimo libretto.