Struggente Ligabue sul Po
Dopo due intense tappe di avvicinamento, Mario Perrotta ha infine realizzato il grande evento che ha concluso il suo progetto triennale su Antonio Ligabue, un’esperienza articolata che per quattro giorni ha animato le terre del pittore coinvolgendo oltre duecento fra attori, musicisti, danzatori, cantanti, organizzatori, tecnici: sotto il titolo Bassa continua – Toni sul Po l’attore regista ha sviluppato tre percorsi-spettacolo che toccavano alcuni luoghi canonici della vita di Ligabue, le piazze di Gualtieri e Guastalla, i boschi sugli argini del fiume e l’ex-manicomio di Reggio Emilia.
Il pubblico, libero di scegliere l’ordine dei percorsi da seguire, veniva così condotto ad assistere a una serie di passaggi emblematici del destino tormentato del “Toni”: il suo arrivo dalla Svizzera, dove era nato da madre italiana e padre ignoto, per essere poi affidato a una coppia locale, il suo difficile impatto con l’ambiente cittadino, scosso dall’avvento del fascismo e dallo scoppio della guerra, il suo vagare nelle campagne, fra gli animali cui si sentiva affine, i suoi difficili rapporti con le donne, che spiava, desiderandole e respingendole, e poi i ripetuti internamenti nell’ospedale psichiatrico.
Questa sofferta biografia umana e artistica – che testimonia la paradossale sorte di un pittore disprezzato e tenuto ai margini da vivo, mentre da morto è diventato l’emblema e il centro di attrazione del paese - procedeva per flash, per spezzoni allusivi, intrecciando i linguaggi e le discipline: mostrava, per bocca di attori diversi, ora un Ligabue irsuto e rabbioso che rievocava la piena del Po del ’51, coi suoi quadri che affioravano dalle acque dopo essere stati usati per tappare i buchi nei muri, ora un Ligabue nella sua cella di malato di mente, gelidamente inquadrato da un referto psichiatrico, che tentava di strapparsi la faccia per trasferirla sulla tela, e urlava che lui i colori dei suoi dipinti ce li aveva dentro. L’apice, il clou di questa somma di invenzioni ed emozioni era il segmento di azione che si svolgeva sul fiume: nell’area golenale di Gualtieri, estremamente suggestiva nelle ore notturne, il pubblico si trovava di fronte a una serie di installazioni che sbucavano via via fra gli alberi: una balera illuminata da file di lampadine, che il pittore osservava da fuori insultando le prostitute che lo invitavano; una zattera in mezzo al Po dalla quale lo straordinario Marco Cavalcoli pronunciava un discorso sconclusionato in una strana lingua a metà fra lo svizzerotedesco e il reggiano; e poi la barchetta su cui la violista Danusha Waskiewicz suonava dolcemente il suo strumento, come un’eterea apparizione acquatica. A completare questo viaggio nei paesaggi fisici e interiori di Ligabue, un pezzo di varietà recitato nel teatrino del paese, una bellissima struttura di origine settecentesca, ora semi-distrutta, che un gruppo di appassionati sta cercando di restaurare, e persino brani di un film d’epoca, uno dei tanti Tarzan con Johnny Weissmuller, simbolo dell’esistenza libera cui lui aspirava. Alla fine di ogni performance, sulla piazza di Gualtieri, si celebrava il funerale di Ligabue, con lo stesso Perrotta seduto sulla bara che al suono della banda inveiva contro i suoi concittadini che non avevano apprezzato quei quadri spesso ricevuti in dono.
Bassa continua è stato un progetto composito, che ha attivato energie e contributi diversi, moltiplicando i livelli espressivi, mescolando sprazzi di grande bellezza a trovate più banali. Perrotta è stato bravissimo non solo a immaginarlo ma anche a condurlo a termine, superando mille difficoltà, mettendo in piedi un robusto apparato di supporto. Come talora accade in questi casi, l’imponente macchina logistica e organizzativa, i pullman, gli spostamenti, il coordinamento dei tempi e dei luoghi ha rischiato talora di sopravanzare gli aspetti creativi, assorbendo molta parte della durata dell’evento. A farne un po’ le spese è stato a mio avviso una certa continuità narrativa: quella da lui attuata era in prevalenza una drammaturgia di immagini, di luoghi, di situazioni, dove la componente verbale risultava piuttosto frammentaria, concentrata in sostanza in tre o quattro forti monologhi, mentre il resto era puro contorno. Forse una costruzione meno dispersiva avrebbe messo ulteriormente a fuoco la materia. O forse no, forse è stato giusto così, perché i veri protagonisti erano i paesi della Bassa, i pioppeti, le anse del fiume.