Il raro tocco di Beatrice
Nel festival del pianoforte che cavalca per l’Italia in questi giorni – Zimerman in tournée, la Pires alla Scala, Perahia fantastico al Quartetto di Milano – scegliamo i ventidue anni di Beatrice Rana: ha debuttato con la Filarmonica della Scala nel Primo di Beethoven conquistando per stile, poesia, virtuosismo. A fronte di eserciti di pianisti che si sbracciano, gigioneggiano, si fanno fotografare coi piedi nudi mentre calpestano il pianoforte, la minuta artista pugliese, nata a Copertino, siede allo strumento con grazia immacolata. Con una sgranatura di note articolate, in velocità, assolutamente perfette, attraversa la tastiera come fosse la cosa più naturale del mondo. Il Beethoven degli esordi esce con la determinazione tecnica del musicista nuovo, forestiero, che deve far colpo su una città smaliziata, non facile da conquistare. Vienna, ieri. Milano, oggi. Beatrice Rana conquista la sala senza bisogno di effettismi: bastano classe e personalità. Con finezza cameristica, pronta al dialogo, entra sicura nel tessuto che le ha preparato la Filarmonica della Scala, in organico raccolto, diretta leggera da Marc Albrecht. L’intreccio parte raccolto, quasi trattenuto, mentre affiorano evidenti reminiscenze mozartiane. Ma nel gesto pianistico si staglia via via una gestualità nuova, dove le note sono più dense, i passaggi più spettacolari. Mani perfette, tocco netto e aderentissimo alla tastiera, la solista ricama, tornisce, vola. Affronta la cadenza con robusto carattere, trovando il punto di equilibrio esatto per questo Beethoven, tra mondo classico e Romanticismo. Nel Largo centrale dimostra una tenuta espressiva inaspettata, mentre dipana sicura un fraseggio ampio, in continuo incalzare. Infine nel Rondò può lasciare liberi trilli (che ha magnifici, sonanti e sbarazzini) e capriole, felice di un’esecuzione che la conferma grande. Come già anticipava il curriculum, lungo una pagina, fitto di premi, concerti e dischi prestigiosi.