Il ritmo scava nell’inconscio
Non c’è pace tra le dune. Fra tempeste di sabbia di proporzioni bibliche, abissali gole pietrose, muraglioni di rocce che arrivano fino in cielo si aggira ancora una volta la mostruosa umanità sopravvissuta a chissà quale disastro epocale. Non c’è più nulla, se non la lotta per la sopravvivenza e l’emergere degli istinti più brutali. Crudeltà, potere, fuga. Mad Max, il protagonista degli episodi precedenti della favolosa saga di George Miller, è appena stato catturato dagli orrendi guerrieri agli ordini del sadico capo assoluto. Incatenato, è stato ridotto a una “sacca di sangue”: goccia dopo goccia, il rosso liquido vitale passa dal suo corpo a quello di un nemico, che così trova la forza sovrumana necessaria per resistere in un ambiente tanto degradato. È l’inizio di un’avventura al di là di ogni immaginazione possibile: perché, mentre Mad Max si vede derubato del suo sangue, una delle moglie del boss fugge a bordo di un enorme camion blindato, portando con sé alcune schiave dell’harem. Lei fugge, gli altri l’inseguono, mentre tutto intorno l’ambiente si fa, se possibile, ancora più ostile. E lui, l’eroe, che fa? Riesce a liberarsi, si unisce alla regina, la aiuta in quella che diventa una lotta per la salvezza spinta al parossismo. Auto, moto, camion, blindati di tutte le fogge, inventati da una fantasia che non sembra avere limiti; una colonna sonora che ti schiaccia alla poltrona, con echi classici e tamburi selvaggi da opera rock; ritmo, ritmo, ritmo, che esalta e trascina. Spesso operazioni come questa danno l’impressione di essere puro esercizio di stile, senza reale consistenza. Qui no: qui è carne e sangue, qui l’incubo è lancinante, e scava senza sosta nel nostro inconscio. %%%%