Tempesta che ribalta i saperi
Le esperienze di lavoro teatrale a contatto con le cosiddette “diverse abilità” sono ormai estremamente diffuse nel nostro Paese, anche se molte di queste si reggono ancora su consunte modalità laboratoriali e fastidiosi atteggiamenti pietistici. Eppure proprio la scena riconosciuta e ufficiale,soprattuttoquellalegataadalcuninomidella ricerca internazionale, si è nutrita in questi anni di un confronto quanto mai fecondo con personalità e figure segnate dal disagio fisico e psichico, bastipensaresoltantoallafolgorante esperienza di Alain Platel. Quindi, lavorare su quei territori offre oggi potenzialità immense, non solo nella logica del “recupero”, rispetto al quale il teatro rimane strumento privilegiato, ma proprio dal punto di vista dell’invenzione creativa, sollevando il pubblico dal sentirsi in dovere di compiere un patetico atto di solidarietà, ed entrando invece nel più puro spazio dell’espressione artistica e della riflessione sull’essere umano, chiunque esso sia. Tutto questo è evidente davanti al lavoro delle Misticanze, il gruppo di stanza a Nave, vicino a Brescia, capitanato da Beatrice Faedi, attrice con esperienze di rango nel miglior teatro di regia italiano, ora dedita a questa tenace quanto entusiasmante impresa. La compagnia, composta,comevuoleilsuonome,dapersonedivarie età e provenienze geografiche, con difficoltà e non, ha deciso per quest’ultimo spettacolo di affrontare Latempesta diShakespeare,malofa con un’attenzione particolare verso Calibano, il mostro, una volta unico abitante e signore di quell’isola poi colonizzata dal mago Prospero che lo ha ridotto in schiavitù. Dunque anche lui è un diverso, un deforme, uno stolto, ma soltanto all’occhio di un individuo piovuto da chissà dove con i suoi libri, la sua arroganza di dominatore e il suo linguaggio. Il tema è già provocatorio di per sé, ma acquista una dolorosa incisività se indicato da chi viene posto ai margini del contesto civile e, al massimo, tolleratoconpietà. Lodimostralascenaincuiunattore getta via la sua carrozzina e cammina con le sue gambe proprio quando lo straniero si reimbarca verso la terra da cui era venuto, lasciandolodinuovopadronedelsuospazio. Ma non basta. L’acuta riscrittura del gruppo dà luogo ad un prezioso e accuratissimo gioco scenico in cui, tutti vestiti di bianco e muniti di ombrello, gli interpreti danno forma alle rocce dell’isola o si riparano dall’uragano, creano onde sinuose, accennano canti, oppure gridano modi di dire marinareschi mescolandoli alle battute della scena iniziale in cui il vascello si infrange sugli scogli, con gli umili marinai che nel momento difficile sanno cosa fare, mentre i nobili a bordo disturbano con le loro inutili preoccupazioni. Come a dire che nelle nostre tempeste quotidiane, abilità, competenze e saperi spesso si sbriciolano e si ribaltano.