Candiero, un sogno fatto in Sicilia
No, non avete letto male e io non ho sbagliato a scrivere. Volevo proprio scrivere «Candiero», per la soddisfazione, tenue, di un titolo sagace e per quella, più smaccata, di vincere lo stupido algoritmo dei motori di ricerca: invariabilmente, quando scrivevo «Candiero + Sciascia», mi cercavano «Candido», pensando che fossi io a sbagliare. Volgarità da correttori automatici... Sono certo che questa cosa avrebbe divertito e indispettito anche Sciascia, perché la sua – vastissima – cultura era fatta di «link» improbabili, ottenuti incrociando dati apparentemente lontani; recuperando riminiscenze di letture ed esperienze sepolte ma pronte a tornare fuori al momento utile. Era, Sciascia, devoto ai libri: e nella memoria delle cose lette, analogamente a Borges, depositava e cercava una sapienza autentica e “superiore”; filtro sublime, la lettura, la letteratura, attraverso il quale guardare e capire il reale. Tutta la sua lezione è volta a questo semplice, determinante, monito: la letteratura “sa”, in maniera diversa e talora più vera della scienza, perché attinge al nostro più profondo e nulla esclude, assurdo e impossibile compresi. Ecco perché sono commoventi ed eccezionali queste noterelle gastronomiche sciasciane (non chiamatele ricette; quelle le si lascino ai cuochi) ripescate da un altro personaggio affine allo scrittore di Racalmuto: pure lui siciliano, pure lui vinto dai libri, pure lui convinto che in essi risieda “qualcosa” di superiore: l’editore Vincenzo Campo da Giuliana, vicino Palermo, novello Vanni Scheiwiller, con la sua milanesissima, anzi della Bovisa, casa editrice Henry Beyle. Rileggendo (ecco la chiave vera!) qua e là da interventi varii (soprattutto il benemerito «L’Apollo Buongustaio» che fu di Mario (Fagiolo) Dell’Arco) ci fa ritrovare memorie e certezze (personali e collettive): il «pitaggiu», una minestra povera e ricchissima, con tutto ciò che propone l’orto e la patata a legarlo; sappiamo che «c’è cuscus e cuscus»; che «non è facile fare un’arancina» e che qualcuno, nelle zolfare, aveva iniziato a cucinare «Sarde e altre cose allo zolfo» (che dà il titolo al libretto, pagg. 48, € 25,00; solita, eccellente stampa in composizione monotype di Rodolfo Campi e perfetta copertina con immagine incollata a mano). Si trattava di tenere le sarde per la coda «calarle nello zolfo per un momento: e ne escono rivestite di una crosta di zolfo, forma grottesca e surreale da suggerire alla pop-art. Sgranocchiata la crosta, ecco la sarda cotta: di un sapore che un po’ tiene di certi pesci affumicati ma con in più il sentore dello zolfo, piacevolissimo». Il che dimostra come Sciascia, quelle sarde, le avesse assaggiate davvero. È che il cibo, così inteso, si fa epica: racconto di un tempo e di una società, di un modo di vivere, di intendere, di volere e di immaginare. Si fa, insomma, letteratura.
E il Candiero? «Sorta di bevanda, fatta d’uova, latte, e zucchero». E, in un ditirambo, «Dell’aloscia, e del candiero, Non ne bramo, e non ne chero». Ma non è questo di cui parliamo: sebbene la Crusca registri così la voce (e già mi vedo Sciascia scuotere pensoso la testa), lo scrittore ha in mente altro. «Mi dicono che a Palermo, nella popolosa e frenetica zona della Vucciria, c’è ancora una sorbetteria dove servono del gelato al gelsomino». Svelato: si tratta di un gelato o sorbetto. La ricetta, vaga, Sciascia la rintraccia in un Magalotti (la cruscante è quella del Bacco in Toscana di Redi) . Candiero è per la bianchezza del gelato e riporta il sapore delle cose ben fatte, linde, di una volta. E riporta, immancabilmente, ai libri : perché Sciascia aveva poi suggerito, nel 1995, al grande stampatore Franco Sciardelli una tiratura di 500 esemplari con le riproduzioni del grande xilografo Adriano Porazzi. E il cerchio così si chiude (e si riapre: finché avremo libri, e gente che si rifiuta di credere di cedere solo a Internet): «Bel bello / rimescolando / rimaneggiando / questo con quello, / tra gelato e non gelato / vedrai farsi in più d’un loco / e serrarsi appoco appoco / come un latte ben quagliato; / e Candiero è nominato: / tal chiamollo il Siciliano, / che pria il fe’ contro la sete / del Signor di Carbognano». È o non è, questo, un bellissimo sogno fatto in Sicilia? Altro che Google.. Libri, letture. Letture. Libri.
Un delizioso ripescaggio: le noterelle gastronomiche che Leonardo Sciascia dedicava ai cibi della memoria e al suo modo di intenderli