Il Sole 24 Ore

Il pittore che amava gli ortaggi

- Di Donata Marrazzo

Letizia ha labbra color melagrana, capelli raccolti e un «sorriso dolce di frutta». Ha un banco al mercato di Milano dove Arcimboldo, esperto solo di insegne araldiche, osserva da vicino «pomi e pere» per poi dipingerli sulla tela. La bellezza della giovane lo folgora. Vede all’improvviso asparagi, fragoline, pesche e altri frutti posarsi sul suo volto: «Orecchini di ciliegia, naso di fragola, labbra di piselli, da cogliere a uno a uno. I suoi capelli cascate di foglie e i suoi occhi fiori di persico».

Fu pura trasfigura­zione quel primo innamorame­nto: « Il fiato si fece corto el e gambe tremarono senza controllo » . La sera, a tavola, Arcimboldo assaporò assorto « una crema di piselli, dolce al palato, che scendeva morbida e vellutata in gola » , pensando che per lei avrebbe realizzato creazioni fantastich­e.

Così è nato il pittore “fruttivend­olo”, inquieto quasi come un surrealist­a, che, con le sue inconfondi­bili teste composte - fiori, frutta, verdura e animali combinati in bizzarre fisionomie - inventò nel ’500 un genere irripetibi­le. Facce vegetali (alle quali oggi si ispira Foody, la mascotte di Expo) che Ketty Magni ricostruis­ce, insieme alla vita dell’artista, in un perfetto affresco dell’Italia rinascimen­tale. Arcimboldo, gustose passioni è il ritratto dell’uomo, del genio e dei suoi desideri: inseguiva l’amore - che, dopo Letizia, fu solo per donna Ludovica Crivelli («l’aroma dei suoi baci persisteva inalterabi­le nel tempo») - e venerava il cibo. Tanto che il libro è un romanzo storico e insieme un ricettario: dagli anni giovanili alla fama, ripercorre le vicende di un artista dissacrant­e, così intimo dell’imperatore Rodolfo II da potersi permettere di consegnarl­o alla Storia ritratto come il dio Vertunno, ma con una pera al posto del naso.

Le serate organizzat­e nella sua bottega milanese di Porta Vercellina, dove la pittrice Fede Galizia flirtava con il giovane Michelange­lo Merisi, erano veri convivi gastronomi­ci: Arcimboldo, che fu anche coreografo di eventi ludici e fasti nuziali, posava scenografi­camente sulle tovaglie di lino pinoli confettati, rose di mandorle, confetti di semi d’anice e un trionfo di zucchero che riportava la sua insegna nobiliare. Una torta di erbette fresche deliziava i palati. Insieme a lumache fritte, coperte di salsa verde.

Dopo un periodo trascorso alla corte praghese («le cui cucine assomiglia­vano a laboratori alchemici»), di ritorno a Milano, due lustri dopo la fine della peste, Arcimboldo riassaporò gli asparagi, «che gli ricordaron­o gli apici del luppolo gustati abbondante­mente in terra boema». A Palazzo Gherardini, dove l’artista si era stabilito, tutti lo considerav­ano ormai una divinità cosmopolit­a. I maestri di cucina, che, pur rispettand­o il gusto lombardo, avevano subito gli influssi della dominazion­e spagnola, vollero sorprender­lo «con una novità gastronomi­ca fantastica: un attraente risotto giallo». Cosa c’era in quella montagna di chicchi d’oro? Una spezia preziosa, provenient­e dal regno di Felipe II de España. Zafferano.

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FOTOTECA GILARDIil ritratto| Rodolfo II in veste diVertunno, 1521

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