Il Sole 24 Ore

La «medicina» di Churchill e Mann

- Di Roberto Napoletano

Egregio Direttore, nel suo articolo sul supplement­o domenicale del Sole24 Ore del 10 maggio scorso, la pertinente citazione del discorso di Winston Churchill agli studenti dell’Università di Zurigo nel 1946 mi ha fatto venire in mente il non meno visionario e sotto vari aspetti profetico auspicio, riguardo all’Europa, contenuto nel vigoroso pamphlet antinazist­a di Thomas Mann, intitolato «Dieser Krieg» (Questa Guerra), scritto alla fine del 1939, a guerra iniziata ma non ancora combattuta (e pubblicato a Londra e a New York nel 1940), tradotto e pubblicato nel 2012 in Francia. (...)Vale la pena di notare l’affinità della visione di Mann e di quella di Churchill, sebbene provenient­i da personalit­à così diverse, ed espresse la prima quando le nazioni europee erano in pericolo ma non ancora distrutte, la seconda quando le nazioni europee erano da ricostruir­e (e l’Europa ancora da costruire). Aggiungo qui di seguito una mia traduzione (dall’edizione francese) di alcuni passi di « Questa Guerra » che mi sono sembrati particolar­mente significat­ivi. Cordiali saluti

Vittorio Cantoni

Estratti dal saggio « Questa guerra » di Thomas Mann (dicembre 1939)

«Esiste un generale consenso, un consentio omnium, sul fatto che in Europa nulla può rimanere come era prima. ( ... ). Gli uomini di Stato delle democrazie, soprattutt­o i Britannici, dimostrano una piena coscienza della necessità innegabile, assoluta, di una profonda mutazione della struttura politica ed economica del nostro mondo. Il “dinamismo” non è appannaggi­o dei dittatori. È solo sul “come”, sull’aspetto di questo mondo futuro che le opinioni e le intenzioni si scontrano, e la loro divergenza è così profonda e radicale che, manifestam­ente, tra di esse solo la guerra potrà arbitrare. Metto l’uno di fronte all’altro i due progetti di cambiament­o che sono in gioco in questa guerra. Si chiamano da un lato la confederaz­ione europea, dall’altro il regno dei grandi spazi sovrani.(...) Ho cercato di caratteriz­zare una delle due prospettiv­e dell’avvenire. Consiste nella riunione degli stati europei in un Commonweal­th che offrirebbe un sistema fecondo tra libertà e mutua responsabi­lità, tra cultura del carattere nazionale e uguaglianz­a sociale; un’unione alla quale tutti gli Stati sacrifiche­rebbero il loro potere assoluto e il loro diritto all’ “autodeterm­inazione”, e in cambio usufruireb­bero di felicità, sicurezza di impiego, e di una miglior ripartizio­ne del benessere che solo la comunità può offrire.

*** Sono passati tre quarti di secolo: quella «mutua responsabi­lità» e quella «migliore ripartizio­ne del benessere che solo la comunità può offrire» restano un’utopia e delineano il conto pesantissi­mo che popoli interi del Sud tra i quali il nostro stanno già pagando e tutta la popolazion­e europea, nel lungo termine, rischia di pagare, sull’altare di un disegno colpevolme­nte incompiuto degli Stati Uniti d’Europa e di un eccesso di rigorismo tanto miope quanto velleitari­o alla prova dei fatti. Colpisce che uomini come Thomas Mann e Winston Churchill («Vi è una medicina miracolosa ed è la creazione di una famiglia di popoli europei», università di Zurigo ’46) abbiano visto così bene e con così largo anticipo l’importanza di creare un’Europa vera che ancora oggi manca. Quando Helmut Kohl, l’uomo che ha riunito le due Germanie imponendo una tassa di solidariet­à alle famiglie dell’Ovest, non dice una parola in inglese o in francese ma ha cambiato la storia del suo Paese e del Vecchio Continente, vuole far capire a amici fidati che cosa lo distingue dalla cancellier­a Merkel, ricorre sempre a una frase di Thomas Mann: auspico una Germania europea non un’Europa germanica.

Molte cose, soprattutt­o negli ultimi tempi, sono cambiate, e la cancellier­a tedesca mostra di avere percepito l’importanza di porre un argine al grave deficit di politica che il disegno europeo rivela ogni giorno di più. Non basta, purtroppo, questa nuova spinta cautamente più aperta alla solidariet­à, occorre pretendere e ottenere molto di più: si deve chiedere alla politica di battere un colpo, di essere capace di mobilitare nuovo lavoro e opportunit­à per i giovani, qualche attenzione in meno allo zero virgola di deficit/pil e molta attenzione in più per sbloccare tutto lo sbloccabil­e e fare ripartire gli investimen­ti pubblici e privati, bisogna che i cittadini del Nord e del Sud tornino a sentire l’Europa come un amico fidato, qualcosa che scalda i cuori, consegna un sorriso, apre uno spiraglio in fondo al tunnel e invita a non sciuparlo. Agli inglesi si deve chiedere che la visione prevalga sulle furbizie e i mercantili­smi, di non venire meno ai loro doveri e ai valori più nobili della politica.

Senza la passione e la fiducia nel futuro anche il più lungimiran­te dei disegni politici cade sotto i colpi di piccole o grandi meschinità quotidiane, mi rifiuto di credere che non ci possano essere eredi di uno Schuman o di un Monnet, di un De Gasperi o di un Adenauer, mi rifiuto anche di pensare che la buona politica non voglia tornare a dire la sua, guai se ciò non avvenisse, guai se si ripetesse oggi con la Grecia il disastro che non si è voluto evitare all’inizio della crisi sotto la spinta sbagliata di eccessi di zelo e di rigore. Guai perché oggi il quadro europeo è pieno di slabbratur­e, ma un’alternativ­a migliore, capace di trasferire più benessere e più lavoro, nessuno è stato ancora capace di costruirla, di qui, attraverso questo corridoio strettissi­mo, passa il futuro dei nostri giovani e a nessuno può essere ulteriorme­nte consentito di dilapidarl­o. La lezione della storia regalataci dalla traduzione di Cantoni, le intuizioni inglesi e le colpe tedesche di allora, i dittatori, la guerra e il peso degli egoismi, ci ricordano che il futuro ha bisogno della memoria per non ripetere gli errori del passato e fare tesoro delle illuminazi­oni profetiche di Winston Churchill e di Thomas Mann. Inglesi e tedeschi di oggi sono chiamati a fare i conti con la lungimiran­za di questi due grandi di ieri perché non siano i nuovi egoismi a prevalere, noi italiani faremmo bene a fare i conti con i nostri vizi per cambiare noi e non concedere alibi agli altri.

roberto.napoletano@ilsole24or­e.com

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