Tutto scorre nell’arte digitale di Fabrizio Plessi
«Non ci si può bagnare due volte nel medesimo fiume», si legge nel celebre frammento di Eraclito. L’incessante divenire di tutto ciò che esiste è un inarrestabile flusso, simile a quello della corrente d’acqua, in cui anche noi siamo immersi. E il panta rei, reso visibile nel perenne scorrere dell’acqua rappresentata su uno schermo – l’acqua intesa quale metafora di purificazione, vita, morte e rinascita -, è sempre stato uno dei più importanti punti di riferimento, concettuale e visivo, dell’artista Fabrizio Plessi (1940), da sempre sperimentatore all’avanguardia nel campo della videoarte, una modalità d’espressione artistica che egli ha saputo rendere duttile e universale, e alla quale ha saputo far parlare il linguaggio dell’attualità ma insieme anche una lingua più arcaica che da sempre formula le grandi domande filosofiche sull’esistenza umana. «Amo le onde – così l’artista, che sembra inserirsi proprio nel solco della riflessione eraclitea – che spazzano via le secche del nostro quotidiano e della sua banalità. Non si può vivere non creando onde, bisogna sempre agitare le acque». E come Eraclito, che fa del fuoco il primo e il più importante degli elementi, capace di esprimere, nella sua vivacità, il dinamismo e la tensione del vivere, anche Plessi affida al fuoco – come all’acqua - una delle metafore più ricorrenti del suo fare artistico. L’artista, che ha ottenuto prestigiosi premi alla carriera, che è ospite assiduo della Biennale di Venezia e di alcune tra le più importanti istituzioni museali del mondo (il Guggenheim di New York e di Bilbao, Il Ludwig di Colonia, il Centre Pompidou), è ideatore di sorprendenti videoinstallazioni e videosculture, come Mari verticali, presente alla 54ma Biennale di Venezia, una suggestiva installazione nella quale imbarcazioni di legno sono poste in posizione verticale, come in procinto di affondare, e all’interno di esse su dei monitor scorrono le onde del mare; un’opera che pur nella sua silenziosa universalità aperta a ogni significazione possibile, ci ha aperto gli occhi sulla visione tragica dell’immigrazione clandestina. L’estetica di Plessi – per anni docente di Umanizzazione delle Tecnologie all’Università di Colonia - è sempre stata incentrata sulla tecnologia da intendersi non come elemento in conflitto con la natura umana, bensì come una risorsa preziosa per esprimere in modo ancora più potente la creatività e lo spirito dell’uomo contemporaneo. La mostra Digital Wall realizzata per Banca Generali è una riflessione profonda sul tema dello schermo digitale nella società di oggi, supporto non aggirabile sul quale si proietta la nostra immaginazione e che è capace di assorbire la nostra realtà. In quest’occasione, Plessi ha voluto cambiare prospettiva e, rinunciando al genere di installazione “classica” che ha contraddistinto fino a ora la sua poetica – monitor inseriti in strutture fatte dei più disparati materiali, dal ferro al legno, collocate nello spazio –, affronta oggi il tema classico dell’arte esposta sulla parete verticale, il “quadro appeso al muro”, ma lo fa in modo critico e assolutamente originale. Il muro è sempre stato per lui solo un perimetro, una delimitazione capace di creare lo spazio artistico e l’alchimia stessa delle sue installazioni, non è mai stato, come egli afferma, «un oggetto su cui mettere cose». Lo scopo di Digital Wall è quello di liberare l’immaginazione dello spettatore dalla pericolosa abitudine di considerare l’arte appesa al muro un oggetto di culto, sacro e lontano, finendo col perdere il senso profondo dell’arte quale esperienza della sensibilità. Per tale ragione, in Digital Wall Plessi libera le sue installazioni verticali da ogni forma di muro: esse si sostengono da sole, non sono appese, il muro scompare, per dar luogo a mosaici di schermi digitali dai vari contorni, anche circolari, sui quali scorre la vita sotto forma di acqua e fuoco.