Il Sole 24 Ore

Fondi Usa, speculazio­ne sulla Grecia

Negli ultimi dieci giorni, rally del 17% alla Borsa di Atene - I flussi di liquidità in arrivo dagli Etf

- Morya Longo m.longo@ilsole24or­e.com

Mentre la Grecia balla da un mese sull’orlo dell’abisso, negli Stati Uniti ci sono investitor­i che vedono la Borsa di Atene come un appetibile Casinò dove puntare qualche fiches. Gli Etf quotati negli Stati Uniti che replicano l’indice della Borsa di Atene - secondo i dati di Bloomberg - hanno infatti registrato il record di afflussi di capitali negli ultimi mesi, arrivando questa settimana ad avere 321 milioni di dollari in gestione: denari di speculator­i statuniten­si che scommetton­o sulle oscillazio­ni della Borsa di Atene attraverso Etf quotati negli Usa. E che hanno anche guadagnato, dato che la Borsa di Atene dal 21 aprile ha recuperato il 17%, in barba al dramma che si sta consumando sotto il Partenone.

Questi 321 milioni di dollari puntati sul Casinò di Atene sono certo pochi soldi, confrontat­i con i «trilioni» dei mercati finanziari. Ma rivelano, insieme ad altri fenomeni che stanno emergendo, il vero problema: gli investitor­i hanno tanti (troppi) soldi, ma non sanno più dove investirli dato che i mercati “tradiziona­li” offrono ormai quotazioni esagerate oppure tassi d’interesse troppo bassi. Così i grandi capitali internazio­nali, come predatori in cerca di cibo, sbavano per cercare alternativ­e: c’è chi si rifugia sulla speculazio­ne mordi e fuggi, chi torna a puntare sui mercati emergenti, chi si rivolge alle azioni che pagano alti dividendi, chi scommette sulla Cina, chi cerca alti rendimenti in alcuni mercati immobiliar­i. Tutti sono a caccia di guadagni: impresa dura nell’era dei tassi a zero.

Caccia al dividendo

Il punto di partenza è ovvio: i titoli di Stato e i mercati delle obbligazio­ni aziendali non offrono più rendimenti appetibili. Tranne alcune eccezioni, chi compra obbligazio­ni nel mondo occidental­e non viene più remunerato per il rischio. Questo è un problema gigantesco per chi investe grandi quantità di denaro: assicurazi­oni, fondi pensione e fondi non hanno più la possibilit­à di remunerare chi ha dato loro i soldi da gestire. Se però le obbligazio­ni pagano cedole (cioè interessi) troppo bassi, esistono azioni che invece offrono cedole (intese come dividendi) ben corpose. Ed è qui che si stanno muovendo in tanti.

Le aziende in molte parti del mondo hanno infatti così tanta liquidità in cassa e così poca voglia di investirla, che staccano dividendi golosi agli azionisti. Si pensi agli Stati Uniti: nel 2014 - stima Bloomberg - le aziende quotate hanno speso 914 miliardi di dollari per pagare dividendi o per restituire denaro agli investitor­i tramite buy-back. Questo significa che hanno usato il 95% dei loro utili non per investire, non per redistribu­ire ricchezza alzando i salari ai dipendenti, ma per gratificar­e gli investitor­i di Wall Street.

Lo stesso faranno le aziende giapponesi: anche per questo la Borsa di Tokyo è sui massimi da 15 anni e attira così tanti investitor­i. Calcola Goldman Sachs che le imprese quotate a Tokyo abbiano in cassa circa 85mila miliardi di yen di liquidità (pari a 586 miliardi di euro): questo ha permesso loro di spendere nel 2014 circa 10mila miliardi di yen in dividendi (73 miliardi di euro), e consentirà di usarne 20mila miliardi nei prossimi due anni. Manna per gli azionisti, che infatti consideran­o le azioni della Borsa di Tokyo come i nuovi “titoli di Stato” con alte cedole. I dividendi, insomma, sono una delle risposte che gli investitor­i danno ai tassi zero.

Immobili sottovalut­ati

Ma non l’unica. L’altro grande trend, che muove gli investitor­i “orfani” dei titoli di Stato in cerca di nuovi rendimenti, riguarda il mercato immobiliar­e. Se in alcune parti del mondo il mattone ha già prezzi da “bolla” (per esempio in Gran Bretagna o nei Paesi scandinavi), esistono mercati dove si compra ancora a buon prezzo e si affitta bene. Per esempio in Germania, e specialmen­te a Berlino dove - fino a poco tempo fa - il rendimento medio di chi comprava per affittare era dell’8% annuo (dedotti gli interessi del mutuo) e ora è del 5%. Insomma: comprare un appartamen­to e affittarlo a Berlino, rende oggi 10 volte più dello 0,49% del Bund decennale. Per questo sul mercato immobiliar­e tedesco si stanno buttando tanti investitor­i.

Il primo ad accorgersi che a Berlino i prezzi delle case erano sottovalut­ati è stato Soros più di 10 anni fa. Da allora molti investitor­i hanno creato fondi dedicati. Per esempio le assicurazi­oni, che hanno bisogno di investire in qualcosa di poco rischioso che garantisca però un rendimento accettabil­e: alcune compagnie francesi hanno infatti un veicolo, chiamato Immeo, che gestisce 18 miliardi di euro di immobili. Anche in Germania. «Il mercato immobiliar­e tedesco attira ormai investitor­i da tutto il mondo, anche dagli Stati Uniti», osserva Alberto Matta, Ceo di Optimum asset management, società che gestisce vari fondi immobiliar­i. «Ormai i titoli di Stato non ripagano più per il rischio e le Borse sono care, per cui tanti puntano sugli immobili». Non solo a Berlino: forti flussi finanziari (di grossi investitor­i) vanno anche verso il mattone negli Stati Uniti, e in minima parte anche in Italia.

Mercati «alternativ­i»

Un’altro grande trend è quello cinese. Sebbene l’economia del Dragone stia rallentand­o, la Borsa di Shanghai attira capitali locali ed internazio­nali come una calamita. Da inizio anno tutti gli indici borsistici cinesi hanno infatti guadagnato tra il 40% e il 145%, trainati da una legislazio­ne sempre più favorevole per i risparmiat­ori e da un’otti-mismo sempre più dilagante tra gli investitor­i internazio­nali. Si compra Cina perché la banca centrale, proprio per combattere contro il rallentame­nto economico, ha varato politiche fiscali ultra-espansive. Si compra Cina perché il Governo sta portando avanti varie riforme. O solo perché - come sostiene Adam Levinson del fondo hedge Graticule - «nel 2017 le Borse cinesi costituira­nno un terzo dell’intero indice gobale Msci». Si compra Cina in maniera così vorace, che persino la società Zhuhai Zhongfu finita in default nei giorni scorsi, da inizio anno ha guadagnato in Borsa il 125%... La fabbrica delle bolle Se da un lato è comprensib­ile che i capitali dei grandi investitor­i si spostino in cerca di sempre nuove opportunit­à, i movimenti di questi ultimi anni - proprio per le loro dimensioni senza precedenti - non possono che preoccupar­e. Grandi capitali si muovono su un mercato, e dopo averlo “spolpato” (come quello dei titoli di Stato europei) vanno altrove. Creando bolle su bolle, come quelle già gonfie di alcuni mercati immobiliar­i, di alcune Borse e di alcuni bond. È possibile che un Bund decennale renda lo 0,49% (e già è risalito), quando l’inflazione attesa nei prossimi 10 anni è dell’1,72%? È possibile che una società cinese in asfissia finanziari­a, tanto da finire in default, guadagni in Borsa il 125%? La realtà è che sui mercati ci sono troppi soldi e sull’economia reale troppo pochi: così i primi corrono, mentre la se - conda arranca. Questo è il vero problema creato dalla liquidità delle banche centrali.

ALTE CEDOLE AZIENDALI Gli «orfani» dei rendimenti dei titoli di Stato puntano ora sulle imprese (in Usa e Giappone) che redistribu­iscono più utili FINANZA RAPACE I grandi flussi di denaro da un mercato all’altro creano squilibri e «bolle»: questo è l’effetto collateral­e dell’espansione monetaria

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