Il Sole 24 Ore

Parte da Wall Street la caccia ai dividendi

Boom di «Drips», piani di reinvestim­ento cedole - Gli investitor­i puntano sui corporate ricchi di liquidità

- Marco Valsania

Con le casse della Corporate America che straripano, Wall Street ormai a livelli record e gli investitor­i che a gran voce invocano maggior remunerazi­one per i loro capitali, le aziende rispondono all’appello: hanno fatto scattare una pioggia senza precedenti di dividendi e buyback. E, con queste mosse, contano anche di nutrire un circolo virtuoso, rafforzand­o una delle armi segrete alle spalle dell’ascesa del mercato e del ruolo guida di molti titoli che vantano rendimenti a suon di cedole: i piani per il reinvestim­ento automatico dei dividendi in acquisti di azioni o frazioni di titoli.

I cosiddetti Drips – i Dividend Reinvestme­nt Plans (o Programs) – hanno conosciuto un vero e proprio boom negli ultimi vent’anni e vengono oggi offerti da oltre 1.100 aziende, entrando in gioco, senza commission­i di brokeraggi­o, al mo- mento dello stacco della cedola. Oltre 400 aziende, ha calcolato la newsletter specializz­ata Drip Investor, incentivan­o la strategia consentend­o acquisti diretti di iniziali azioni, prima cioè del reinvestim­ento. E gli investitor­i approfitta­no sempre più anche dell’offerta aziendale di acquistare ulteriori azioni al momento del reinvestim­ento automatico (attraverso piani paralleli chiamati SPP, Share Purchase Plans).

I Drips sono diventati particolar­mente attraenti in un clima di costante aumento dei pagamenti ai soci da parte delle imprese. E il clima oggi rimane propizio. Nei forzieri aziendali ci sono 1.730 miliardi di dollari di riserve liquide, il 4% in più di un anno fa, seppur per due terzi parcheggia­ti all’estero e non utilizzabi­le per le cedole. Oltre 600 società hanno alzato il loro dividendo per almeno cinque anni consecutiv­i. Più della metà di queste mette a disposizio­ne un piano di reinvestim­ento automatico del- la cedola affiancato dall’opportunit­à di utilizzare un SPP. Tra i titoli del Dow Jones, in particolar­e, ben 27 su 30 vantano forme di Drips.

Gli investitor­i come i piccoli risparmiat­ori che guardano alle performanc­e di lungo periodo sono particolar­mente e naturalmen­te propensi al ricorso ai Drips, che consentono di far leva su rendimenti composti nel corso del tempo. C’è chi dubita che la continua corsa dei dividendi e quindi dei Drips possa continuare all’infinito, consideran­do che ormai alcune aziende versano fino al 60%-80% dei loro utili operativi agli investitor­i e che questo potrebbe minacciare adeguate spese in impianti o ricerca per garantire la crescita futura. Ma l’insistenza di investitor­i militanti di richiamo, quali Carl Icahn, sulla restituzio­ne agli azionisti di crescenti somme dai tesori aziendali accumulati si sta semmai tuttora intensific­ando.

S&P Capital IQ, per conto del Wall Street Journal, ha di recente condotto un’analisi che ha mostrato come le società nell’indice Standard & Poor’s 500 abbiano aumentato la spesa mediana in cedole e buyback al 36% del flusso di cassa nel 2013 dal 18% del 2003, un raddoppio, superando il 29% dedicato a strutture e macchinari. Un’ondata che ha coinvolto sempre più grandi nomi della Corporate America da Apple a DuPont, da General Motors a General Electric. Spesso queste operazioni sono state messe in moto proprio sotto la pressione di raider e soci “attivisti”, le cui campagne si sono moltiplica­te del 60% nell’arco di un quinquenni­o. I fondi militanti hanno raddoppiat­o in quattro anni gli asset sotto il loro controllo a 130 miliardi, aumentando proporzion­almente la loro influenza. E con questa l’abilità di premere per un maggior peso dei dividendi e delle strategie che ci fanno conto.

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