Parte da Wall Street la caccia ai dividendi
Boom di «Drips», piani di reinvestimento cedole - Gli investitori puntano sui corporate ricchi di liquidità
Con le casse della Corporate America che straripano, Wall Street ormai a livelli record e gli investitori che a gran voce invocano maggior remunerazione per i loro capitali, le aziende rispondono all’appello: hanno fatto scattare una pioggia senza precedenti di dividendi e buyback. E, con queste mosse, contano anche di nutrire un circolo virtuoso, rafforzando una delle armi segrete alle spalle dell’ascesa del mercato e del ruolo guida di molti titoli che vantano rendimenti a suon di cedole: i piani per il reinvestimento automatico dei dividendi in acquisti di azioni o frazioni di titoli.
I cosiddetti Drips – i Dividend Reinvestment Plans (o Programs) – hanno conosciuto un vero e proprio boom negli ultimi vent’anni e vengono oggi offerti da oltre 1.100 aziende, entrando in gioco, senza commissioni di brokeraggio, al mo- mento dello stacco della cedola. Oltre 400 aziende, ha calcolato la newsletter specializzata Drip Investor, incentivano la strategia consentendo acquisti diretti di iniziali azioni, prima cioè del reinvestimento. E gli investitori approfittano sempre più anche dell’offerta aziendale di acquistare ulteriori azioni al momento del reinvestimento automatico (attraverso piani paralleli chiamati SPP, Share Purchase Plans).
I Drips sono diventati particolarmente attraenti in un clima di costante aumento dei pagamenti ai soci da parte delle imprese. E il clima oggi rimane propizio. Nei forzieri aziendali ci sono 1.730 miliardi di dollari di riserve liquide, il 4% in più di un anno fa, seppur per due terzi parcheggiati all’estero e non utilizzabile per le cedole. Oltre 600 società hanno alzato il loro dividendo per almeno cinque anni consecutivi. Più della metà di queste mette a disposizione un piano di reinvestimento automatico del- la cedola affiancato dall’opportunità di utilizzare un SPP. Tra i titoli del Dow Jones, in particolare, ben 27 su 30 vantano forme di Drips.
Gli investitori come i piccoli risparmiatori che guardano alle performance di lungo periodo sono particolarmente e naturalmente propensi al ricorso ai Drips, che consentono di far leva su rendimenti composti nel corso del tempo. C’è chi dubita che la continua corsa dei dividendi e quindi dei Drips possa continuare all’infinito, considerando che ormai alcune aziende versano fino al 60%-80% dei loro utili operativi agli investitori e che questo potrebbe minacciare adeguate spese in impianti o ricerca per garantire la crescita futura. Ma l’insistenza di investitori militanti di richiamo, quali Carl Icahn, sulla restituzione agli azionisti di crescenti somme dai tesori aziendali accumulati si sta semmai tuttora intensificando.
S&P Capital IQ, per conto del Wall Street Journal, ha di recente condotto un’analisi che ha mostrato come le società nell’indice Standard & Poor’s 500 abbiano aumentato la spesa mediana in cedole e buyback al 36% del flusso di cassa nel 2013 dal 18% del 2003, un raddoppio, superando il 29% dedicato a strutture e macchinari. Un’ondata che ha coinvolto sempre più grandi nomi della Corporate America da Apple a DuPont, da General Motors a General Electric. Spesso queste operazioni sono state messe in moto proprio sotto la pressione di raider e soci “attivisti”, le cui campagne si sono moltiplicate del 60% nell’arco di un quinquennio. I fondi militanti hanno raddoppiato in quattro anni gli asset sotto il loro controllo a 130 miliardi, aumentando proporzionalmente la loro influenza. E con questa l’abilità di premere per un maggior peso dei dividendi e delle strategie che ci fanno conto.