Il Sole 24 Ore

COMPETITIV­ITÀ

Germania batte Italia 3 a 1

- Micaela Cappellini

L’export mondiale della Germania vale 1.100 miliardi, quello italiano 400: le imprese tedesche ci battono tre a uno. L’ingredient­e segreto del successo del Sistema Paese Germania nel mondo? Una migliore capacità di vendere all’estero. Lo dicono i dati: nelle fasce alte di prodotti, la Germania rappresent­a il 12% di tutto l’export mondiale, l’Italia solo il 4%.

Quattrocen­to miliardi di euro di export all’anno contro mille e cento. Altro che Messico 1970: la partita contro la Germania per i mercati mondiali è persa 1 a 3. Lo si sente dire da tutte le parti: vuoi mettere la competitiv­ità del sistema Paese tedesco? Quando però si arriva a parlare di quali effettivam­ente siano in concreto questi miracolosi ingredient­i della torta made in Germany, la conversazi­one si fa più nebulosa. Il governo di Berlino? Le Camere di commercio dei Lander? La qualità dei prodotti delle sue industrie? Un mix di tutto questo, più un ingredient­e segreto: la chiave del successo della Germania starebbe nel fatto che i tedeschi sanno vendere meglio di noi italiani.

Detta così pare un’eresia. E invece i numeri lo dimostrano. Li fornisce l’ufficio studi Studia Bo, che li ha elaborati per conto di Unicredit sulla base della banca dati Ulisse, che consente di dividere i flussi del commercio estero per fasce di prezzo. Un dato campeggia su tutti: sul totale del commercio mondiale di beni di qualità più elevata le esportazio­ni tedesche rappresent­ano il 14% e sono in crescita, quelle italiane solo il 4% e per giunta mostrano un andamento piatto.

Se poi andiamo a vedere i singoli settori, nei beni di fascia medio-alta l’Italia batte la Germania solo nella moda. In tutto il resto, la spuntano i tedeschi. Anche nell’alimentare. Siamo il Paese che cerca di accreditar­si nel mondo come patria della buona cucina, eppure registriam­o quote di commercio nel segmento di fascia alta tutto sommato modeste: 7% per l’Italia, meno della Germania, per non parlare della Francia all’11 per cento. Nella meccanica, addirittur­a, il divario è ampio (si veda l’infografic­a a fianco), eppure si tratta di un segmento in cui l’eccellenza del prodotto made in Italy è universalm­ente riconosciu­ta.

Perché le aziende tedesche sono più brave a vendere? «In- tanto perché sono più grandi, e quindi sono in grado di supportare costi di innovazion­e e di marketing nettamente superiori a quelli di cui sono capaci le nostre imprese», spiega Carlo Marini, responsabi­le Internazio­nalizzazio­ne del Gruppo Unicredit. La potenza di fuoco delle imprese tedesche è visibile in molti campi. Per esempio, negli investimen­ti in ricerca e sviluppo: stando ai dati di Eurostat per il 2013, la spesa procapite in R&S effettuata dalle imprese di Berlino è di 682 euro contro i 183 delle imprese italiane.

Al di là del fattore dimensiona­le, poi, il potenziale di marketing della Germania è reso superiore dalla capacità degli operatori del commercio tedeschi - vale a dire della grande distribuzi­one, dei grossisti, delle trading company - di spingere le imprese sui mercati esteri. Non è un caso, per esempio, che negli altri Paesi europei (dati Ice) le aziende del commercio contribuis­cono in media per il 19% alle esportazio­ni, mentre in Italia questa percentual­e scende al 13 per cento.

Come possono fare, allora, le nostre imprese per imparare la lezione tedesca e recuperare terreno competitiv­o? «Intanto potrebbero adottare un approccio meno intuitivo e più strategico all’export - spiega Marini -. Per esempio, potrebbero dotarsi al proprio interno di figure specializz­ate nell’internazio­nalizzazio­ne, come gli export manager o gli esperti di marketing internazio­nale». E il ruolo delle banche, non dovrebbe essere quello di concedere più capitali? Non è che le banche tedesche sono più brave anche in questo? «La verità - sostiene Marini - è che in Germania di credito bancario alle imprese c’è molto meno bisogno perché le aziende tedesche sono molto più capitalizz­ate di quelle italiane. Unicredit ha condotto un’indagine tra le aziende dei due Paesi chiedendo a entrambi i gruppi che cosa le banche potevano fare per loro, per aiutarle a internazio­nalizzarsi. Ebbene: le imprese tedesche hanno risposto che per andare all’estero preferisco­no appoggiars­i ai loro consulenti e alle Camere di commercio locale e che le banche devono limitarsi a fare le banche. Mentre quelle italiane alle istituzion­i bancarie hanno chiesto un appoggio a 360 gradi».

LA SPESA IN RICERCA Le aziende tedesche investono l’equivalent­e di 682 euro pro capite all’anno, quelle italiane solo 183

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