COMPETITIVITÀ
Germania batte Italia 3 a 1
L’export mondiale della Germania vale 1.100 miliardi, quello italiano 400: le imprese tedesche ci battono tre a uno. L’ingrediente segreto del successo del Sistema Paese Germania nel mondo? Una migliore capacità di vendere all’estero. Lo dicono i dati: nelle fasce alte di prodotti, la Germania rappresenta il 12% di tutto l’export mondiale, l’Italia solo il 4%.
Quattrocento miliardi di euro di export all’anno contro mille e cento. Altro che Messico 1970: la partita contro la Germania per i mercati mondiali è persa 1 a 3. Lo si sente dire da tutte le parti: vuoi mettere la competitività del sistema Paese tedesco? Quando però si arriva a parlare di quali effettivamente siano in concreto questi miracolosi ingredienti della torta made in Germany, la conversazione si fa più nebulosa. Il governo di Berlino? Le Camere di commercio dei Lander? La qualità dei prodotti delle sue industrie? Un mix di tutto questo, più un ingrediente segreto: la chiave del successo della Germania starebbe nel fatto che i tedeschi sanno vendere meglio di noi italiani.
Detta così pare un’eresia. E invece i numeri lo dimostrano. Li fornisce l’ufficio studi Studia Bo, che li ha elaborati per conto di Unicredit sulla base della banca dati Ulisse, che consente di dividere i flussi del commercio estero per fasce di prezzo. Un dato campeggia su tutti: sul totale del commercio mondiale di beni di qualità più elevata le esportazioni tedesche rappresentano il 14% e sono in crescita, quelle italiane solo il 4% e per giunta mostrano un andamento piatto.
Se poi andiamo a vedere i singoli settori, nei beni di fascia medio-alta l’Italia batte la Germania solo nella moda. In tutto il resto, la spuntano i tedeschi. Anche nell’alimentare. Siamo il Paese che cerca di accreditarsi nel mondo come patria della buona cucina, eppure registriamo quote di commercio nel segmento di fascia alta tutto sommato modeste: 7% per l’Italia, meno della Germania, per non parlare della Francia all’11 per cento. Nella meccanica, addirittura, il divario è ampio (si veda l’infografica a fianco), eppure si tratta di un segmento in cui l’eccellenza del prodotto made in Italy è universalmente riconosciuta.
Perché le aziende tedesche sono più brave a vendere? «In- tanto perché sono più grandi, e quindi sono in grado di supportare costi di innovazione e di marketing nettamente superiori a quelli di cui sono capaci le nostre imprese», spiega Carlo Marini, responsabile Internazionalizzazione del Gruppo Unicredit. La potenza di fuoco delle imprese tedesche è visibile in molti campi. Per esempio, negli investimenti in ricerca e sviluppo: stando ai dati di Eurostat per il 2013, la spesa procapite in R&S effettuata dalle imprese di Berlino è di 682 euro contro i 183 delle imprese italiane.
Al di là del fattore dimensionale, poi, il potenziale di marketing della Germania è reso superiore dalla capacità degli operatori del commercio tedeschi - vale a dire della grande distribuzione, dei grossisti, delle trading company - di spingere le imprese sui mercati esteri. Non è un caso, per esempio, che negli altri Paesi europei (dati Ice) le aziende del commercio contribuiscono in media per il 19% alle esportazioni, mentre in Italia questa percentuale scende al 13 per cento.
Come possono fare, allora, le nostre imprese per imparare la lezione tedesca e recuperare terreno competitivo? «Intanto potrebbero adottare un approccio meno intuitivo e più strategico all’export - spiega Marini -. Per esempio, potrebbero dotarsi al proprio interno di figure specializzate nell’internazionalizzazione, come gli export manager o gli esperti di marketing internazionale». E il ruolo delle banche, non dovrebbe essere quello di concedere più capitali? Non è che le banche tedesche sono più brave anche in questo? «La verità - sostiene Marini - è che in Germania di credito bancario alle imprese c’è molto meno bisogno perché le aziende tedesche sono molto più capitalizzate di quelle italiane. Unicredit ha condotto un’indagine tra le aziende dei due Paesi chiedendo a entrambi i gruppi che cosa le banche potevano fare per loro, per aiutarle a internazionalizzarsi. Ebbene: le imprese tedesche hanno risposto che per andare all’estero preferiscono appoggiarsi ai loro consulenti e alle Camere di commercio locale e che le banche devono limitarsi a fare le banche. Mentre quelle italiane alle istituzioni bancarie hanno chiesto un appoggio a 360 gradi».
LA SPESA IN RICERCA Le aziende tedesche investono l’equivalente di 682 euro pro capite all’anno, quelle italiane solo 183