Per i depositi Iva servono locali adatti
Negli spazi vicini soltanto i prodotti che sono destinati a essere lavorati
Per stoccare le merci nei depositi Iva e beneficiare del rinvio della tassazione al momento dell’uscita, servono spazi che siano nella disponibilità giuridica del depositario e chiaramente delimitati, per poter individuare i beni soggetti al regime specifico. È possibile tenere in locali limitrofi i prodotti che devono subire lavorazioni. Sono i chiarimenti forniti dall’agenzia delle Entrate con la circolare 12/E/2015.
Stop a qualsiasi utilizzo del deposito Iva che finisca per privare l’istituto della sua sostanza giuridica ed economica. È quanto emerge dalla lettura della circolare 12/ E/2015 secondo la quale, per le operazioni dell’articolo 50bis, comma 4, del Dl 331/93, l’Iva è assolta all’atto dell’estrazione dei beni dal deposito mediante reverse charge e quindi, di regola, senza un effettivo esborso monetario.
In particolare, la circolare affronta la questione (cruciale) dell’introduzione dei beni nel deposito Iva, frequentemente contestata agli operatori, accusati di servirsi di questo strumento al solo fine di evitare il pagamento dell’imposta.
Le controversie, per lo più, riguardano operazioni d’importazione senza versamento dell’Iva in dogana nel presupposto che i beni siano introdotti in deposito Iva (articolo 50-bis, comma 4, lettera b), circostanza che i verificatori considerano come non avverata, eccependo un utilizzo “virtuale” del deposito (circolare 16/D/2006).
In pratica, gli uffici sostengono che i beni non sarebbero destinati a formare oggetto di deposito e custodia, come “fisiologicamente” richiesto dal relativo contratto (articoli 1766 e seguenti del Codice civile), ma transiterebbero dal deposito solo cartolarmente, all’esclusivo scopo di non pagare il tributo.
A rendere incerta la materia, del resto, ha contribuito - non poco - lo stesso legislatore, che, volendo fornire l’interpretazione autentica della lettera h) del comma 4 dell’articolo 50-bis, sui servizi relativi ai beni custoditi nel deposito Iva, ha stabilito che le prestazioni «relative a beni consegnati al depositario » costituiscono esse stesse introduzione nel deposito Iva, senza necessità di scaricare la merce dal mezzo di trasporto e senza un tempo minimo di giacenza nel deposito e che l’introduzione s’intende realizzata anche negli spazi limitrofi «senza che sia necessaria la preventiva introduzione della merce nel deposito» (articolo 16, comma 5 bis, Dl 185/2008, modificato, da ultimo, dal Dl 179/2012) . Il che può aver indotto a pensare che l’obbligo di introdurre la merce nel deposito possa considerarsi assolto, per esempio, facendo semplicemente sostare i beni nelle aree antistanti per il tempo strettamente necessario all’annotazione (cartolare) del loro ingresso/uscita sul registro del gestore/depositario.
Ora l’agenzia delle Entrate prova a mettere ordine, ribadendo, innanzitutto, che il deposito Iva è un luogo fisico nel quale i beni, salvo eccezioni, devono materialmente entrare, perché possano essere assolte le funzioni di custodia e stoccaggio che giustificano «economicamente e giuridicamente» il contratto di deposito (la presenza del contratto scritto è dunque opportuna). Come logica conseguenza, inoltre, i locali destinati a deposito Iva devono essere idonei «all’attività di custodia».
L’ampiezza degli ambienti dovrà essere dunque adeguata alla tipologia di merce da introdurre, con ciò lasciandosi intendere che difficilmente un piccolo locale potrà giustificare il deposito di beni di dimensioni rilevanti.
Allo stesso modo, anche se non ci sono tempi minimi di giacenza, pare poco credibile che (soprattutto se lo spazio è ridotto) siano transitate quantità di merce tali che, ricostruendo i tempi necessari anche solo a eseguire le formalità d’introduzione ed estrazione, portino a rilevare un traffico di tipo “automobilistico” in entrata nel e in uscita dal deposito.
Né si potrà obiettare al verificatore che i beni si considerano introdotti anche se le prestazioni di servizi sono eseguite nei locali «limitrofi». Innanzitutto, occorre che questi locali siano funzionalmente e logisticamente collegati al deposito Iva «in un rapporto di contiguità» e che rientrino nel «plesso aziendale» del depositario, che deve detenerli in base a un legittimo titolo (in linea con la risoluzione 149/E/2000). In secondo luogo, le Entrate paiono limitare questa possibilità ai «soli beni che devono subire delle lavorazioni». La merce che non deve essere lavorata (ma solo custodita), invece, va introdotta materialmente nel deposito Iva, non esistendo un principio generale per cui i beni possono considerarsi soggetti allo speciale regime a prescindere dalla loro materiale introduzione nei locali.