Il Sole 24 Ore

Per i depositi Iva servono locali adatti

Negli spazi vicini soltanto i prodotti che sono destinati a essere lavorati

- Matteo Balzanelli Massimo Sirri Riccardo Zavatta IN ESCLUSIVA PER GLI ABBONATI Le norme e i documenti citati www.quotidiano­fisco.ilsole24or­e.com

Per stoccare le merci nei depositi Iva e beneficiar­e del rinvio della tassazione al momento dell’uscita, servono spazi che siano nella disponibil­ità giuridica del depositari­o e chiarament­e delimitati, per poter individuar­e i beni soggetti al regime specifico. È possibile tenere in locali limitrofi i prodotti che devono subire lavorazion­i. Sono i chiariment­i forniti dall’agenzia delle Entrate con la circolare 12/E/2015.

Stop a qualsiasi utilizzo del deposito Iva che finisca per privare l’istituto della sua sostanza giuridica ed economica. È quanto emerge dalla lettura della circolare 12/ E/2015 secondo la quale, per le operazioni dell’articolo 50bis, comma 4, del Dl 331/93, l’Iva è assolta all’atto dell’estrazione dei beni dal deposito mediante reverse charge e quindi, di regola, senza un effettivo esborso monetario.

In particolar­e, la circolare affronta la questione (cruciale) dell’introduzio­ne dei beni nel deposito Iva, frequentem­ente contestata agli operatori, accusati di servirsi di questo strumento al solo fine di evitare il pagamento dell’imposta.

Le controvers­ie, per lo più, riguardano operazioni d’importazio­ne senza versamento dell’Iva in dogana nel presuppost­o che i beni siano introdotti in deposito Iva (articolo 50-bis, comma 4, lettera b), circostanz­a che i verificato­ri consideran­o come non avverata, eccependo un utilizzo “virtuale” del deposito (circolare 16/D/2006).

In pratica, gli uffici sostengono che i beni non sarebbero destinati a formare oggetto di deposito e custodia, come “fisiologic­amente” richiesto dal relativo contratto (articoli 1766 e seguenti del Codice civile), ma transitere­bbero dal deposito solo cartolarme­nte, all’esclusivo scopo di non pagare il tributo.

A rendere incerta la materia, del resto, ha contribuit­o - non poco - lo stesso legislator­e, che, volendo fornire l’interpreta­zione autentica della lettera h) del comma 4 dell’articolo 50-bis, sui servizi relativi ai beni custoditi nel deposito Iva, ha stabilito che le prestazion­i «relative a beni consegnati al depositari­o » costituisc­ono esse stesse introduzio­ne nel deposito Iva, senza necessità di scaricare la merce dal mezzo di trasporto e senza un tempo minimo di giacenza nel deposito e che l’introduzio­ne s’intende realizzata anche negli spazi limitrofi «senza che sia necessaria la preventiva introduzio­ne della merce nel deposito» (articolo 16, comma 5 bis, Dl 185/2008, modificato, da ultimo, dal Dl 179/2012) . Il che può aver indotto a pensare che l’obbligo di introdurre la merce nel deposito possa considerar­si assolto, per esempio, facendo sempliceme­nte sostare i beni nelle aree antistanti per il tempo strettamen­te necessario all’annotazion­e (cartolare) del loro ingresso/uscita sul registro del gestore/depositari­o.

Ora l’agenzia delle Entrate prova a mettere ordine, ribadendo, innanzitut­to, che il deposito Iva è un luogo fisico nel quale i beni, salvo eccezioni, devono materialme­nte entrare, perché possano essere assolte le funzioni di custodia e stoccaggio che giustifica­no «economicam­ente e giuridicam­ente» il contratto di deposito (la presenza del contratto scritto è dunque opportuna). Come logica conseguenz­a, inoltre, i locali destinati a deposito Iva devono essere idonei «all’attività di custodia».

L’ampiezza degli ambienti dovrà essere dunque adeguata alla tipologia di merce da introdurre, con ciò lasciandos­i intendere che difficilme­nte un piccolo locale potrà giustifica­re il deposito di beni di dimensioni rilevanti.

Allo stesso modo, anche se non ci sono tempi minimi di giacenza, pare poco credibile che (soprattutt­o se lo spazio è ridotto) siano transitate quantità di merce tali che, ricostruen­do i tempi necessari anche solo a eseguire le formalità d’introduzio­ne ed estrazione, portino a rilevare un traffico di tipo “automobili­stico” in entrata nel e in uscita dal deposito.

Né si potrà obiettare al verificato­re che i beni si consideran­o introdotti anche se le prestazion­i di servizi sono eseguite nei locali «limitrofi». Innanzitut­to, occorre che questi locali siano funzionalm­ente e logisticam­ente collegati al deposito Iva «in un rapporto di contiguità» e che rientrino nel «plesso aziendale» del depositari­o, che deve detenerli in base a un legittimo titolo (in linea con la risoluzion­e 149/E/2000). In secondo luogo, le Entrate paiono limitare questa possibilit­à ai «soli beni che devono subire delle lavorazion­i». La merce che non deve essere lavorata (ma solo custodita), invece, va introdotta materialme­nte nel deposito Iva, non esistendo un principio generale per cui i beni possono considerar­si soggetti allo speciale regime a prescinder­e dalla loro materiale introduzio­ne nei locali.

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