Il Sole 24 Ore

Alla ricerca di più mercato e meno Stato

- Di Mariano Maugeri

La metamorfos­i industrial­e è già cominciata ma la politica sembra non essersene accorta. Il dualismo veneto sta proprio qui, in un’autonomia del tessuto economico dalle regalìe della macchina regionale, che come in tutte le aree ricche dispiega il suo armamentar­io di società partecipat­e al servizio di coloro in sintonia all’entourage partitocra­tico.

Si tratta di somme enormi sulle quali i politici glissano dirottando le attenzioni sui costi dei singoli consiglier­i regionali (vitalizi, rimborsi, diarie). C’è ben altro nella cassaforte di una Regione come il Veneto, e la posta in palio di questa tornata elettorale è proprio il dimagrimen­to di una macchina regionale che come paventato nelle previsioni più fosche si è sostituita all’oppression­e romana.

Per fortuna a Nordest la dialettica tra impresa e politica non teme i conflitti come altrove. E in modo educato ma fermo gli industrial­i e gli artigiani regionali hanno unito le loro forze per illustrare ai politici due manifesti (“La manifattur­a digitale” e “Verso il Veneto 2020”) che senza tanti preamboli elencavano una serie di priorità indispensa­bili alla ripresa industrial­e dopo i peggiori sette anni dalla fine della seconda guerra mondiale. Il messaggio, ancorché subliminal­e, era chiaro: i soldi vanno concentrat­i in azioni chiare, condivise e soprattutt­o finalizzat­e alla ricostituz­ione e alla digitalizz­azione del tessuto produttivo. I candidati, ognuno a suo modo, hanno aderito entusiasti­camente alle proposte degli imprendito­ri, uno slancio che da oggi in poi dovrebbe concretars­i in scelte e politiche coerenti. Accadrà, non accadrà? Difficilme­nte un governator­e appena eletto si priverà di una cassaforte (vedi Veneto sviluppo) che consente di manovrare miliardi di euro con grande disinvoltu­ra.

Il Veneto rivendica da sempre un’autonomia speciale (in consiglio regionale giacciono due leggi, una per un referendum sull’autonomia, l’altra sull’indipenden­za) sostenuta dalla storia millenaria della Serenissim­a e da un residuo fiscale netto trasferito allo stato centrale di oltre 20 miliardi (tutte le regioni del Sud hanno un residuo fiscale negativo). Che sarebbero molti di più se la Regione tornasse al suo compito originario di legiferare e si ritirasse da compiti operativi che in base al principio di sussidiari­età dovrebbe essere devoluti alle istituzion­i più vicine ai cittadini (leggi Comuni o unione dei Comuni). Dal Veneto, insomma, dovrebbe partire un disegno virtuoso di alleggerim­ento delle pachidermi­che macchine tecnocrati­che, con la liberazion­e di somme ingenti da concentrar­e sulla programmaz­ione degli investimen­ti in infrastrut­ture materiali e immaterial­i e nella governance di processi complessi come l’occupazion­e, l’innovazion­e, la formazione. Lo slogan più mercato meno Stato, insomma, dovrebbe trovare nel regno della piccola e media impresa terreno fertile e magari riverberar­si nelle altre regioni settentrio­nali. Non basta affermare che la sanità veneta “è la prima in Italia”. Ci vuole altro ai tempi dell’economia 2.0. A partire, ma questo è un discorso che vale per tutte le altre regioni e persino per l’esecutivo, da una nuova classe di amministra­tori con curricula coerenti e competenze al di sopra di ogni sospetto.

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