Il Sole 24 Ore

Il super-martedì delle imposte punta ai 45 miliardi

Alla cassa imprese, autonomi e proprietar­i

- Cristiano Dell’Oste Giovanni Parente

Il supermarte­dì delle tasse punta a superare il traguardo dei 45 miliardi. Con il modello F24 o i bollettini postali di Imu e Tasi, la scadenza del 16 giugno chiama alla cassa quasi tutti i contribuen­ti: profession­isti, autonomi, imprendito­ri, società ed enti non commercial­i, oltre ai 25 milioni italiani che possiedono una casa o un altro immobile. Consideran­do che 21 milioni di proprietar­i sono dipendenti o pensionati, si capisce che l’appuntamen­to con gli acconti finirà per riguardare anche la maggior parte di coloro che di solito pagano le tasse tramite le trattenute su buste paga e pensioni.

Crisi e imposte sui redditi

Per le imposte sui redditi il versamento di acconti 2015 e saldi 2014 avrà molte similitudi­ni con l’anno scorso. A parte il discorso sulle scadenze (con l’ipotesi di proroga per i contribuen­ti soggetti a studi di settore), bisogna considerar­e almeno due effetti concomitan­ti.

Da un lato, l’incognita dei maxiaccont­i dello scorso autunno per le società di capitali. L’aliquota da usare era al 101,5% e, di conseguenz­a, quanto pagato in più qualche mese fa sarà “scalato” dall’importo dovuto ora tra il versamento per così dire ordinario e i tempi supplement­ari in cui va aggiunta la maggiorazi­one dello 0,40 per cento. Da Ires e Irap (a cui comunque sono tenute non solo le Spa e le Srl) potrebbero arrivare circa 24,6 miliardi di euro. Nel confronto rispetto a un anno fa si tratterebb­e di un incremento, ma bisogna tenere presente che 12 mesi fa l’influenza delle aliquote maggiorate nell’acconto autunnale di fine 2013 era ben più pesante, in quanto all’epoca le società avevano calcolato gli anticipi delle imposte al 102,5% con una punta del 130% per banche e assicurazi­oni. E, dunque, il contraccol­po compensati­vo nell’estate 2014 era stato giocoforza ben più marcato. Senza dimenticar­e che un ulteriore aumento degli acconti potrebbe scattare nel prossimo autunno se gli in- cassi della voluntary disclosure non dovessero disinnesca­re la clausola di salvaguard­ia prevista dall’ultimo decreto Milleproro­roghe.

L’altra incognita da cui non si potrà prescinder­e è quanto peserà ancora l’effetto della crisi. Gli indicatori macroecono­mici sembrano trasmetter­e una tendenza alla ripresa, seppur ancora timida. I versamenti d’imposta rappresent­eranno una prova del nove in questo senso. Il ricorso al metodo previsiona­le - una sorta di ciambella di salvataggi­o consentita dal fisco - può consentire di ridurre la base imponibile prevista a causa, per esempio, di una diminuzion­e del fatturato e, quindi, di versare meno imposte rispetto al calcolo con il metodo storico. Sicurament­e, continuera­nno a usarlo le imprese in perdita, che rappresent­ano quasi stabilment­e un terzo del totale. Ma se ci fosse un minore utilizzo del previsiona­le da parte di altre imprese o autonomi (per quanto riguarda l’Irpef) il bottino per l’Erario potrebbe salire. 7 Sono pagate tramite autoliquid­azione le imposte che il contribuen­te versa direttamen­te in base alla propria situazione. Il calcolo delle imposte – tecnicamen­te, «liquidazio­ne» – fino alla riforma fiscale del 1973 era eseguito dagli uffici del fisco. Il sistema attuale, invece, si basa sull’autoliquid­azione da parte di imprendito­ri, autonomi e società, che versano Irpef, Ires e Irap, oltre ai pagamenti periodici dell’Iva. In valore assoluto, comunque, la maggior parte delle imposte dirette è riscossa dai datori di lavoro e dagli enti previdenzi­ali tramite le ritenute d’imposta su buste paga e pensioni: nel 2014, ad esempio, è arrivato per questa via all’Erario l’87% dell’Irpef totale.

A questo si aggiunge un problema di liquidità. Lo stress da versamenti, come detto, riguarda anche i tributi locali e ciò potrebbe mettere sotto pressione le casse di famiglie e attività economiche. Ecco perché in molti potrebbero scegliere la strada di rateizzare i pagamenti relativi alle imposte sui redditi e all’Irap nelle settimane e nei mesi successivi. In questo modo, è vero che le tasse affluirebb­ero pur sempre nelle casse pubbliche, anche se con un certo differimen­to, ma ci sarebbe la necessità di fare i conti fra qualche mese sull’effettivo incasso da acconti e saldi.

Le tasse sul mattone

Le imposte sul possesso degli immobili quest’anno non devono fare i conti con nessun nuovo tributo, dopo il debutto dell’Imu nel 2012 e della Tasi nel 2014. I proprietar­i, però, non potranno fare affidament­o sui bollettini precompila­ti a domicilio, che pure sarebbero previsti dalla legge di stabilità di due anni fa.

A ogni modo, a parte le incertezze sui terreni agricoli - per i quali venerdì scorso il dipartimen­to delle Finanze ha diramato un nuovo pacchetto di chiariment­i sotto forma Faq - l’acconto dei due tributi immobiliar­i non dovrebbe presentare particolar­i complicazi­oni: la vera difficoltà, se mai, sarà quella di trovare le risorse per far fronte ai quasi 12,5 miliardi di pagamenti. Di questi, quasi 4 miliardi arriverann­o dai fabbricati produttivi in categoria catastale «D» e finiranno allo Stato, mentre tutto il resto andrà ai Comuni.

Rispetto alle imposte dirette, le tasse sul mattone garantisco­no alle casse pubbliche un incasso più stabile, perché la base imponibile non sente la crisi. Ma questo non vale per la cedolare secca, che dovrebbe confermare con i prossimi acconti un appeal crescente tra i contribuen­ti: d’altra parte, per i privati che affittano abitazioni, è l’unica misura in controtend­enza in un contesto di pressione fiscale crescente da anni.

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