L’italiano, una lingua diversamente unitaria
Parole. Per non andare a scuola in giorni di lezione, a Milano si usa « bigiare » , a Roma « far sega » , a Napoli « fare filone » , a Firenze « far forca » . « Spigola » e « branzino » sono lo stesso pesce, a seconda lo si peschi sull’Adriatico o sul Tirreno. A proposito di « pésca » : solo romani e toscani la distinguono dalla « pèsca » , il frutto con la “e” aperta. La giacca s’appende all a « gruccia » in Toscana, ma alla « stampella » più a sud. A Milano usano l’ « ometto » .
Bembo. La definitiva affermazi one del toscano ( il fiorentino trecentesco) come lingua volgare comune si ha nel 1 525 con l a pubblicazione delle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo. « È ancora grazie a Bembo se oggi gli italiani possono leggere con facilità i testi medievali: t utti gli altri europei hanno bisogno di traduzioni in lingua moderna per apprezzare la propria letteratura antica, mentre noi, con un po’ di istruzione e di buona volontà, possiamo leggere Dante e Petrarca s enza mediazioni » .
Manzoni. Manzoni sostiene con forza che « una lingua è un tutto o non è » . Deve fornire tutti gli elementi necessari a tutte le circostanze comunicative. Deve essere fatta di parole necessarie. Parole della vita di tutti i giorni. Per Manzoni la scrittura, la lingua i taliana non è mai una questione di scelta, ma di necessità: « Che questa facoltà di scegliere ( dovuta alla molteplicità dei dialetti - ndr) è appunto la nostra miseria… » .
Fiorentino. Per unificare la lingua, Manzoni, chiamato a far parte di un’apposita commissione ministeriale, propose un dizionario dell’uso vivo del fiorentino, una serie di dizionari dialettali per la traduzione in fiorentino delle parole locali, la preferenza dei maestri di scuola toscani da mandar in giro per l’Italia, borse di studio per permettere agli studenti di passare un’annualità in Toscana.
Analfabeti. Con l o Stato unitario, l a questione della l i ngua nazionale diventa essenzialmente economica: se si vuole concorrere con gli altri Paesi si deve portare l a popolazione a un l i vello di i ntegrazione e formazione l i nguistica accettabili. Al momento dell’Unità d’Italia, l ’ analfabetismo era al 75%, con punte del 90% i n Sicilia e Sardegna. Nelle campagne l a situazione era più tragica che nelle aree urbane e per l e donne l ’ i struzione era un l usso: i n Calabria e Basilicata l e donne alfabetizzate erano soltanto i l 5 per cento.
Ascoli. Contrariamente alle proposte d’indottrinamento manzoniano, i l goriziano Graziadio I saia Ascoli, studioso di glottologia di orientamento positivista, riteneva che la lingua nazionale non la si potesse studiare o pianificare nelle scuole, come una strategia di guerra. «È necessario agire non sulla lingua direttamente, ma sui fattori storico-culturali ed economici». E aveva ragione: se la lingua nazionale (di derivazione fiorentina) è divenuta tale, lo si deve alle migrazioni interne, all’inurbamento delle popolazioni contadine, alla generalizzazione dell’istruzione, alla leva militare obbligatoria e ai mezzi di comunicazione di massa.
Censimento. Secondo il XV Censimento generale della popolazione e delle abitazioni del 2011, l’analfabetismo è una battaglia ormai vinta: con l’1,06% della popolazione analfabeta. Quello che questo dato rassicurante non dice è che, comunque, il 70% della popolazione tra i 16 e i 65 anni si colloca a un livello di istruzione più basso di quello considerato necessario «per interagire in modo efficace».