Affrancamenti con meno appeal
In salita i riallineamenti di quote e terreni dopo l’aumento del prelievo e la stretta di Entrate e Cassazione
Scadenze in arrivo per l’affrancamento di valore dei terreni e delle partecipazioni non quotate (disciplinato dagli articoli 5 e 7 della legge 448/2001), anche se le ultime novità di prassi e giurisprudenza convergono nel rendere meno appetibile – o comunque più problematico – il ricorso a questo strumento.
Le scadenze di giugno
La prima data da annotare è il 30 giugno prossimo, termine entro cui occorre far redigere e asseverare la perizia di stima e versare la prima (o unica) rata dell'imposta sostitutiva sul valore così determinato per i beni posseduti al 1° gennaio 2015 (si veda Il Sole 24 Ore del 13 maggio).
Peraltro, dopo quattordici anni di stabilità delle aliquote e dodici riaperture dei termini, il raddoppio dell’imposta previsto dal comma 627 della legge 190/2014 (dal 2% al 4% per le partecipazioni non qualificate, dal 4% all’8% per quelle qualificate e per le aree) assottiglia il numero di chi trova conveniente aderire. Anche perché il rincaro del prelievo arriva in un mercato non certo in crescita.
La seconda scadenza è quella del 30 settembre, data entro la quale - nel modello Unico PF - i contribuenti interessati devono ricordarsi di indicare l’affrancamento di valore operato entro il 30 giugno 2014 (in base all’articolo 1, comma 156, della legge 147/2013). L’indicazione va effettuata al rigo RT105 per le partecipazioni e al rigo RM20 per i terreni: l’eventuale dimenticanza non toglie validità al maggior costo fiscalmente riconosciuto, ma costituisce violazione formale, comportando una sanzione da 258 a 2.065 euro (circolare 1/ E/2013, par. 4.3).
In realtà, c'è anche una terza scadenza – più ravvicinata – che riguarda verosimilmente una minoranza di contribuenti: entro il 19 giugno scade il termine per la “mini sanatoria” riservata ai contribuenti che, dopo aver ricevuto in donazione una quota o delle azioni già oggetto di rivalutazione, intendano ricorrere di nuovo all'affrancamento (si veda l'articolo a fianco).
No ai cambi di rotta
Al di là delle scadenze, uno dei casi più frequenti è quello dei ripensamenti da parte dei contribuenti. In realtà, la rivalutazione non ammette cambi di rotta e, se si stringe il “patto” con il fisco sottostante all’opzione, poi occorre accettarne le conseguenze, nel bene e nel male. Sono questi i principi che emergono dalla giurisprudenza della Cassazione in questi primi mesi del 2015, dopo che, sulla irrevocabilità dell’affrancamento, la giurisprudenza di merito si era spesso divisa.
Con la sentenza 3410/2015, la Suprema corte ha esaminato il caso di una contribuente che, fatta asseverare la perizia su una partecipazione societaria e versata nei termini la prima rata dell’imposta sostitutiva, ne aveva poi chiesto il rimborso, dichiarandosi disposta a rinunciare al maggior valore emergente dall’affrancamento.
Il ricorso delle Entrate contro la sentenza di appello favorevole alla contribuente è stato, tuttavia, accolto (senza rinvio) dalla Corte, secondo cui l’opzione validamente operata non può essere revocata per scelta unilaterale del contribuente, che è tenuto a versare anche le rate residue (vengono citate le norme codicistiche sull’effetto degli atti unilaterali a contenuto patrimoniale). E non ha alcun rilievo neppure il fatto che la contribuente non avesse indicato in Unico l’intervenuto affrancamento, trattandosi di adempimento di natura formale e non sostanziale.
Alla stessa conclusione la Cort e giunge con l a sentenza 6688/2015, nella quale è stato affrontato il caso degli eredi del contribuente che ha redatto la perizia su un’area edificabile, ha versato le prime due rate d’imposta ed è poi deceduto. La Corte nega il rimborso di quanto versato, nonostante - come precisato nell’articolo a fianco - l’affrancamento operato dal de cuius e l’imposta da questi versata siano perfettamente inutili per gli eredi (articolo 68, comma 6, Tuir). Tale opzione, infatti, afferma la sentenza, non è revocabile «se non in presenza di vizi della volontà, apparendo indifferente ed irrilevante ogni successiva vicenda», tra cui, appunto, anche la morte del contribuente.
Va notato che, in queste ipotesi, gli uffici iscrivono a ruolo (con la sanzione del 30%) le eventuali rate non pagate dagli eredi in scadenza successivamente alla morte del proprietario, richiesta spesso impugnata in contenzioso ma che, alla luce dell’orientamento assunto dalla Cassazione, sembra opportuno esaudire.
Quando rivalutare
Più in generale, si può trarre da queste sentenze una regola di comportamento: tanto per i terreni, quanto per le partecipazioni, la rivalutazione va operata quando la cessione del bene è pressoché certa. Avvalersi dell’opzione per affrancare una plusvalenza del tutto potenziale, futura e incerta, può portare a versamenti privi di effetti, che, oltre a comportare un costo inutile (a maggior ragione ora che l’imposta è raddoppiata), può creare problemi ulteriori.
In particolare, va ricordato che per i terreni il valore affrancato «costituisce valore normale minimo di riferimento ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta di registro e dell’imposta ipotecaria e catastale», comportando, in caso di mercato al ribasso, particolari cautele per evitare accertamenti al momento della cessione (si veda Il Sole 24 Ore del 26 marzo 2015), rischio mitigato dalla risoluzione 53/E del 27 maggio.