Il Sole 24 Ore

Un pareggio che nasconde molti segnali

- Di Luca Ricolfi

C’è un vincitore in questa tornata elettorale? Direi di no, se usiamo il criterio che di solito si usa in questi casi, e cioè: contare quante amministra­zioni sono passate da sinistra a destra (una, la Liguria) e quante da destra a sinistra (una, la Campania).

Che il match sia finito 1 a 1 non significa, però, che nulla sia cambiato. L’astensioni­smo è aumentato, il Movimento 5 Stelle ha dimostrato di essere vivo e vegeto, la Lega ha sfondato diventando il primo partito del centro-destra, Berlusconi è stato umiliato da Fitto in Puglia, il Pd ha avuto, in Liguria, un primo “assaggio” di quel che può succedere quando si sfida la minoranza interna.

Anche se non è stato un test su Renzi, il voto di domenica qualche segnale di tipo generale lo ha mandato comunque. Alcuni segnali dovrebbero preoccupar­e tutti: è il caso della bassissima partecipaz­ione elettorale, segno che la disaffezio­ne dei cittadini nei confronti della politica non è affatto rientrata. Altri segnali dovrebbero preoccupar­e Berlusconi: penso al successo del candidato di Fitto in Puglia, ma soprattutt­o alla esondazion­e della Lega, ormai saldamente insediata nelle regioni rosse, e pronta a sbarcare anche al Sud (il 2% in Puglia è un risultato tutt’altro che disprezzab­ile). Altri segnali, infine, dovrebbero preoccupar­e soprattutt­o Renzi. Il buon risultato del Movimento 5 Stelle, accoppiato con il calo della partecipaz­ione elettorale, sembra incrinare il teorema renziano secondo cui la buona politica batte il populismo: se il teorema è vero, dobbiamo dedurne che quella di Renzi non è percepita, almeno fin qui, come buona politica. Quanto al successo della Lega di Salvini, credo che i segnali che porta con sé siano più d’uno, e tutt’altro che rassicuran­ti per il premier.

Di tali segnali io ne intravedo essenzialm­ente due. Il primo è che il tema “criminalit­à e immigrazio­ne” sta tornando al centro del discorso politico, e su questo la sinistra appare, come sempre, del tutto incapace di articolare una risposta che non si riduca alla solita raffica di luoghi comuni.

Gli immigrati sono una risorsa, l’allarme sociale è fomentato dai media, gli stranieri non delinquono di più degli italiani, dobbiamo puntare su accoglienz­a e integrazio­ne. La realtà, purtroppo, è che dopo la recessione del 2009 il numero totale di reati è tornato a crescere, e il tasso di criminalit­à degli stranieri, anche regolari, continua ad essere sensibilme­nte più alto di quello degli italiani.

Il secondo segnale è che, forse, anche l’attenzione verso i temi economici sta prendendo una piega non rassicuran­te per il governo. Spiace dirlo così crudamente, ma la mia impression­e è che, all’elettore medio, le parole alate della politica sul sogno europeo, sui nuovi assetti istituzion­ali, sulle immense risorse morali del paese, appaiano un tantino prive di concretezz­a. Più che riforme, forse la gente si aspetta risultati. Incassato il bonus da 80 euro e l’azzerament­o dei contributi sociali per i neo assunti, quello di cui il paese sente il bisogno è una ripartenza vera. Una ripartenza, cioè, fatta di cose che si toccano con mano, e non solo di promesse che si enunciano.

Può darsi che, per alcuni, tali cose che si toccano abbiano il sapore dell’assistenza, e per altri abbiano quello della responsabi­lità. E tuttavia non credo sia un caso che Lega e Movimento 5 Stelle, ossia le due formazioni che il voto ha premiato di più, abbiano puntato tante carte su temi economici concreti: reddito di cittadinan­za, pensioni, euro, tasse, occupazion­e.

Ma c'è anche un ultimo segnale implicito nel voto di domenica, un segnale che non riguarda questo o quel partito, ma il funzioname­nto del sistema politico nel suo insieme. Le sconfitte speculari del centro-destra in Puglia, ma soprattutt­o del Pd in Liguria, mostrano quanto importanti, ai fini dell’esito del voto, possano risultare le divisioni interne dei due schieramen­ti. In vista delle prossime elezioni politiche sarà importante capire in che modo si orienteran­no le preferenze dei cittadini, ma, forse, ancora più importante sarà capire come si strutturer­à l’offerta politica. Se destra e sinistra si presentera­nno unite, è probabile che al ballottagg­io assisterem­o a uno scontro “classico”, fra un listone con Pd e satelliti e un listone con Lega, Forza Italia e satelliti. Ma se uno o entrambi gli schieramen­ti dovessero andare al voto divisi, con diverse forze minori attratte dalla facile soglia di sbarrament­o del 3%, allora al ballottagg­io potrebbero andare il Movimento Cinque stelle e il meno diviso fra i due schieramen­ti di centro-destra e centro-sinistra. Uno scontro non proprio classico, anche se non privo di illustri precedenti in altre democrazie (vedi la sfida fra Le Pen e Chirac alle presidenzi­ali del 2002 in Francia).

Forse, il vero interrogat­ivo che il voto di domenica consegna alla scena politica è quale dei due “mattei”, Matteo Renzi o Matteo Salvini, sarà più capace di evitare la disgregazi­one del proprio campo. Un compito che al momento appare più agevole per Renzi, ma che domani potrebbe risultare arduo per entrambi.

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