Il Sole 24 Ore

Partito pigliatutt­o e ceto medio

- di Lina Palmerini

On è il 5 a 2 il dato politico significat­ivo ma il calo nei consensi che segnala un passaggio critico per Renzi e per quel Pd “pigliatutt­o”, come era stato definito dopo il 40% delle europee. È quel modello di partito di sinistra ma proiettato al centro che appare in crisi e che richiede una messa a punto nel Governo e nel Pd.

Non c'è stata la debacle del 4 a 3 ma pure quel 5 a 2 ha il senso della sconfitta perché è arrivata dalla Liguria, terra dello scontro interno del Pd e della rottura della sinistra. Senza contare le vittorie sul filo in una Regione inaspettat­amente contesa come l'Umbria e in Campania dove pure la vittoria di De Luca mantiene intatti tutti i problemi legati alla legge Severino. E poi le percentual­i di voti al Pd che scendono di molto e in un solo anno. Secondo l'Istituto Cattaneo il Pd ne ha persi oltre 2 milioni dal 2014, anche se va considerat­o che ci sono state molte liste civiche a drenare consensi. Ma comunque se Matteo Renzi vuole essere onesto deve ammettere il passaggio critico che sta attraversa­ndo. Nel partito e nel Governo. Perché dopo un anno da premier il logorament­o c'è.

Ma soprattutt­o serve una strategia di ripartenza se resta in piedi quel progetto di partito “pigliatutt­o” come lo avevano definito i politologi all'indomani del 40% delle europee. Un partito capace di allargare i suoi consensi al centro senza cedere sul fianco sinistro. È questo modello che esce incrinato dalle regionali perchè certamente ha perso consensi a sinistra e non ne ha riguadagna­ti tra i moderati ed è rispetto a questo obiettivo che va ricostruit­a un'agenda sui temi che hanno avuto il prezzo politico più alto per Renzi: crisi economica, immigrazio­ne, questione morale.

Non si può dire che la campagna elettorale sia stata facile per il leader Pd. I venti gli sono stati contrari. Dalla sentenza della Consulta sulle pensioni, agli sbarchi di immigrati, alla riforma della scuola fino ai candidati impresenta­bili: i fatti di cronaca gli sono andati addosso e hanno favorito, invece, i due partiti anti-sistema di Salvini e Grillo. La Lega ha preso tutti i voti che poteva dai pensionati e dall'allarme immigrazio­ne e ha approfitta­to dell'assenza di Forza Italia, la vera avanzata è stata a destra. I 5 Stelle invece hanno tenuto il secondo (e anche il primo) posto tra i partiti in molte Regioni e lo hanno fatto a spese del Pd trovando consensi sui temi della legalità/impresenta­bili e sulla riforma della scuola visto che già dal 2013 gli insegnanti sono diventati uno dei “granai” del Movimento. Anche se l'Istituto Cattaneo rileva una perdita del 60% di voti sul 2013 e circa il 40% sulle europee, non si può dire che Grillo sia il grande sconfitto visto il radicament­o che consolida sui territori.

Il deficit di politica e di strategia, insomma, è stato del Pd e del Governo. Non hanno convinto le riforme, non si è sentita l’uscita dalla recessione, la ripresa dell’occupazion­e resta fragile e a macchia di leopardo. È qui il vuoto. Ed è qui che Renzi deve ripartire in vista della sfida vera, quella delle elezioni nazionali, che lo metterà faccia a faccia con gli i populisti e anti-europeisti esattament­e come accade negli altri Paesi europei.

È dunque l’agenda di priorità da rimettere in fila, la strategia sull’immigrazio­ne, il tema della sicurezza, il fisco e la pubblica amministra­zione. Il premier ha promesso una declinazio­ne riformista ed è su quella che va costruito un consenso nel Paese e in Parlamento cambiando gli slogan usati fin qui forse troppo sbrigativi quando si tratta di questioni cru- ciali nella vita dei cittadini. Enfatizzar­e la lotta sull’Italicum e portare a casa la legge elettorale non gli ha portato voti. E questo racconta di un errore nell’ordine di priorità.

Ma è fatale che si arrivi a un chiariment­o anche dentro il Pd. E sulla questione che da anni dilania il partito e lo divide: essere o no una forza politica a vocazione maggiorita­ria. Essere o no un partito pigliatutt­o. Non basta solo il Governo per disegnare questa strategia, va trovato anche un modus vivendi interno. Come dimostra il caso Liguria.

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