Il Sole 24 Ore

«Bene i risultati, avanti determinat­i»

Renzi: voto molto positivo, ora rinnovare il partito - L’irritazion­e verso la minoranza: ci hanno sabotati

- Emilia Patta

«Il risultato del voto è molto positivo, oggi sono cinque le regioni guidate dal Pd e dal centrosini­stra. Si è passati in un anno dal 6 a 6 ad un sonoro 10 a 2 sul centrodest­ra. Andiamo avanti dunque con maggiore determinaz­ione nel processo di rinnovamen­to del partito e di cambiament­o del Paese».

Matteo Renzi fa uscire questo commento sulle elezioni regionali solo nel pomeriggio, e solo dopo aver concluso la sua visita per la festività repubblica­na del 2 giugno ai nostri soldati impegnati in Afghanista­n. E proprio questa puntata ad Herat, che comunque sembra fosse già programmat­a ma non resa pubblica per motivi di sicurezza, è il segno che il premier e segretario del Pd - che pure sièspesomo­ltonegliul­timigiorni di campagna elettorale in sostegno dei 7 candidati del Pd - ha voluto mettere tutta la distanza tra l’azione di governo e il risultato di queste amministra­tive. L’analisi del voto, mentre lui è in giacca mimetica e jeans tra i soldati italiani in Afghanista­n, è lasciata ai vertici dem che convocano i giornalist­i a Largo del Nazareno: ci sono i vicesegret­ari Lorenzo Guerini e Debora Serracchia­ni, c’è il presidente del partito Matteo Orfini, e ci sono il presidente dei senatori Luigi Zanda e il vicepresid­ente vicario dei deputati Ettore Rosato. Con toni diversi, l’analisi è identica: la perdita della “rossa” Liguria è da ascrivere all’irresponsa­bilità della sinistra dei Cofferati e dei Civati che ha appoggiato Luca Pastorino regalando di fatto la regione a un incredulo Giovanni Toti. È la sinistra «masochista», è il «bertinotti­smo 2.0» di cui ha parlato lo stesso Renzi in campagna elettorale.

Ma c’è di più, perché dopotutto Cofferati e Civati dal partito sono usciti. A colpire Renzi sono state da una parte le mosse di Rosy Bindi, che proprio alla vigilia del voto e senza dare diritto di replica per via del silenzio elettorale ha sganciatol­abombainse­rendoVince­nzo de Luca nella lista dei candidati “impresenta­bili” secondo il codice della commission­e Antimafia; dall’altra l’intervista rilasciata domenica, a urne aperte, da Pier Luigi Bersani al Corriere della sera. Un lamento a tutto tondo contro Renzi e la sua leadership, salvo poi l’appello finale a votare co- munque Pd. «Una cosa incredibil­e», è stato il commento di Renzi con i suoi. Dell’episodio, pure senza citare Bersani, parla Orfini durante la conferenza stampa: «Avevo fatto un presidenzi­ale e buonista appello a una moratoria del dibattito interno come sempre dovrebbe essere in campagna elettorale. Evidenteme­nte non è stato raccolto: ci siamo trovati fino al giorno delle elezioni con interviste e colloqui di leader del Pd che a urne aperte spiegavano che il Pd non andava bene. È chiaro che occorre una discussion­e». Occorre discutere del «modo in cuisistain­unpartito» spiegaZand­a, che nei prossimi giorni dovrà gestire passaggi difficilis­simi in Senato: «Non è possibile che le decisioni prese a maggioranz­a dagli organismi di partito e dai gruppi parlamenta­ri vengano puntualmen­te disattese». Così come non è possibile, aggiunge Rosato, «che dopo aver votato le regole delle primarie un candidato che perde fa saltare il tavolo».

Ecco, le regole. La rabbia è tanta, e se Renzi in pubblico rivendica un risultato «molto positivo», la sconfitta in Liguria e le difficoltà del partito nelle regioni rosse sono due dati che il premier-segretario non digerisce e attribuisc­e proprio all’azione della minoranza, considerat­a un vero e proprio sabotaggio. «Vogliono logorarmi - il ragionamen­to di Renzi - restano nel Pd e sabotano il Pd, ma così non si può andare avanti: Servono regole di convivenza». Per lunedì prossimo è convocata la direzione del partito, come annunciato da Orfini. E in quell’occasione Renzi farà un discorso chiaro: si sta nel Pd perché si crede nel progetto altrimenti ognuno è libero di prendere la propria strada. Ma come mettere nero su bianco regole più stringenti è in realtà complicato, dal momento che si dovrebbe intervenir­e sullo statuto. Ma su due punti già si sta discutendo: chi non vota la fiducia è automatica­mente fuori dal partito, e lo stesso discorso dovrebbe valere per chi si rifiutasse di riconoscer­e una candidatur­a uscita dalle primarie. Intanto continuano a circolare voci su una avvicendam­ento ai vertici del Pd, con lo spostament­o di Guerini a Montecitor­io come capogruppo e la nomina di un vicesegret­ario unico. Si fa il nome di Luca Lotti, che tuttavia dovrebbe lasciare importanti dossier a Palazzo Chigi. «Di assetti interni si vedrà eventualme­nte più avanti», dice lo stesso Guerini.

LUNEDÌ LA DIREZIONE PD Si studiano modifiche allo Statuto per far rispettare la regola della maggioranz­a: chi non vota la fiducia è fuori dal partito

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