«Bene i risultati, avanti determinati»
Renzi: voto molto positivo, ora rinnovare il partito - L’irritazione verso la minoranza: ci hanno sabotati
«Il risultato del voto è molto positivo, oggi sono cinque le regioni guidate dal Pd e dal centrosinistra. Si è passati in un anno dal 6 a 6 ad un sonoro 10 a 2 sul centrodestra. Andiamo avanti dunque con maggiore determinazione nel processo di rinnovamento del partito e di cambiamento del Paese».
Matteo Renzi fa uscire questo commento sulle elezioni regionali solo nel pomeriggio, e solo dopo aver concluso la sua visita per la festività repubblicana del 2 giugno ai nostri soldati impegnati in Afghanistan. E proprio questa puntata ad Herat, che comunque sembra fosse già programmata ma non resa pubblica per motivi di sicurezza, è il segno che il premier e segretario del Pd - che pure sièspesomoltonegliultimigiorni di campagna elettorale in sostegno dei 7 candidati del Pd - ha voluto mettere tutta la distanza tra l’azione di governo e il risultato di queste amministrative. L’analisi del voto, mentre lui è in giacca mimetica e jeans tra i soldati italiani in Afghanistan, è lasciata ai vertici dem che convocano i giornalisti a Largo del Nazareno: ci sono i vicesegretari Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani, c’è il presidente del partito Matteo Orfini, e ci sono il presidente dei senatori Luigi Zanda e il vicepresidente vicario dei deputati Ettore Rosato. Con toni diversi, l’analisi è identica: la perdita della “rossa” Liguria è da ascrivere all’irresponsabilità della sinistra dei Cofferati e dei Civati che ha appoggiato Luca Pastorino regalando di fatto la regione a un incredulo Giovanni Toti. È la sinistra «masochista», è il «bertinottismo 2.0» di cui ha parlato lo stesso Renzi in campagna elettorale.
Ma c’è di più, perché dopotutto Cofferati e Civati dal partito sono usciti. A colpire Renzi sono state da una parte le mosse di Rosy Bindi, che proprio alla vigilia del voto e senza dare diritto di replica per via del silenzio elettorale ha sganciatolabombainserendoVincenzo de Luca nella lista dei candidati “impresentabili” secondo il codice della commissione Antimafia; dall’altra l’intervista rilasciata domenica, a urne aperte, da Pier Luigi Bersani al Corriere della sera. Un lamento a tutto tondo contro Renzi e la sua leadership, salvo poi l’appello finale a votare co- munque Pd. «Una cosa incredibile», è stato il commento di Renzi con i suoi. Dell’episodio, pure senza citare Bersani, parla Orfini durante la conferenza stampa: «Avevo fatto un presidenziale e buonista appello a una moratoria del dibattito interno come sempre dovrebbe essere in campagna elettorale. Evidentemente non è stato raccolto: ci siamo trovati fino al giorno delle elezioni con interviste e colloqui di leader del Pd che a urne aperte spiegavano che il Pd non andava bene. È chiaro che occorre una discussione». Occorre discutere del «modo in cuisistainunpartito» spiegaZanda, che nei prossimi giorni dovrà gestire passaggi difficilissimi in Senato: «Non è possibile che le decisioni prese a maggioranza dagli organismi di partito e dai gruppi parlamentari vengano puntualmente disattese». Così come non è possibile, aggiunge Rosato, «che dopo aver votato le regole delle primarie un candidato che perde fa saltare il tavolo».
Ecco, le regole. La rabbia è tanta, e se Renzi in pubblico rivendica un risultato «molto positivo», la sconfitta in Liguria e le difficoltà del partito nelle regioni rosse sono due dati che il premier-segretario non digerisce e attribuisce proprio all’azione della minoranza, considerata un vero e proprio sabotaggio. «Vogliono logorarmi - il ragionamento di Renzi - restano nel Pd e sabotano il Pd, ma così non si può andare avanti: Servono regole di convivenza». Per lunedì prossimo è convocata la direzione del partito, come annunciato da Orfini. E in quell’occasione Renzi farà un discorso chiaro: si sta nel Pd perché si crede nel progetto altrimenti ognuno è libero di prendere la propria strada. Ma come mettere nero su bianco regole più stringenti è in realtà complicato, dal momento che si dovrebbe intervenire sullo statuto. Ma su due punti già si sta discutendo: chi non vota la fiducia è automaticamente fuori dal partito, e lo stesso discorso dovrebbe valere per chi si rifiutasse di riconoscere una candidatura uscita dalle primarie. Intanto continuano a circolare voci su una avvicendamento ai vertici del Pd, con lo spostamento di Guerini a Montecitorio come capogruppo e la nomina di un vicesegretario unico. Si fa il nome di Luca Lotti, che tuttavia dovrebbe lasciare importanti dossier a Palazzo Chigi. «Di assetti interni si vedrà eventualmente più avanti», dice lo stesso Guerini.
LUNEDÌ LA DIREZIONE PD Si studiano modifiche allo Statuto per far rispettare la regola della maggioranza: chi non vota la fiducia è fuori dal partito