Il Sole 24 Ore

La via stretta del premier tra stallo e apertura alla minoranza Pd

- Emilia Patta

Cinque regioni vinte contro le due del centrodest­ra. Il dato è inoppugnab­ile, e di questo dato si conforta l’analisi di Matteo Renzi dei vertici dem. Eppure è altrettant­o inoppugnab­ile l’emorragia di voti, emorragia che accomuna il Pd al M5S e a Fi (solo la Lega aumenta in termini assoluti), così come inoppugnab­ile è la perdita di una regione “rossa” come la Liguria. E proprio il «laboratori­o ligure», come lo chiama l’ormai fuoriuscit­o dal Pd Sergio Cofferati, manda a Renzi segnali importanti sia sul fronte del governo sia sul fronte del partito. Intanto il 9,5% raccolto dal candidato della sinistra anti-Pd Luca Pastorino è lì a ricordare che se una parte della minoranza del Pd deciderà di scindersi e presentars­i alle prossime elezioni politiche con una formazione nuova assieme a Sel e alla “coalizione sociale” di Maurizio Landini potrà fare molto male al partito di Renzi. Ma per il momento nessuno dei big della vecchia guardia sembra intenziona­to a lasciare il Pd: né Bersani, né Cuperlo, né tantomeno i giovani bersaniani come Speranza o Stumpo. L’azione della minoranza è piuttosto concentrat­a sugli appuntamen­ti parlamenta­ri delle prossime settimane. E in Senato i 24 dissidenti dem che non votarono la riforma costituzio­nale sono sempre lì, determinan­ti. La strada di Renzi appare dunque molto stretta: senza concedere nulla alla minoranza rischia il blocco, concedendo troppo rischia l’annacquame­nto delle sue riforme. La prima urgenza di Renzi è dunque quella di ricucire con la minoranza del suo partito, almeno con la parte più dialogante e anagrafica­mente più giovane. La seconda urgenza è il partito: non è un caso che le candidate a lui vicine, la Paita in Liguria e la Moretti in Veneto, hanno perso mentre le vittorie sono da scrivere a candidati della vecchia guardia (Toscana, Marche e Umbria) o a personalit­à indipenden­ti e lungamente radicate sul territorio (Campania e Puglia). Non c’è dubbio che Renzi e i vertici del Nazareno abbiano sottovalut­ato questo test elettorale, e il premier e segretario del Pd non ha saputo portare sul territorio il rinnovamen­to di cui si era fatto paladino vincendo primarie ed europee. È arrivato il tempo di porre mano al partito anche a livello territoria­le, investendo su una nuova classe dirigente che sia competitiv­a. Il vecchio modello delle sezioni, degli iscritti, delle scuole di formazione e dei giornali di partito si è consumato ma il nuovo modello ancora non c’è.

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