Il Sole 24 Ore

Atenei più competitiv­i, ma con meno fondi

- Di Stefano Paleari

Il Governo ha approvato la scorsa settimana il disegno di legge sulla “buona Scuola”. Ora è atteso il passaggio in Senato e c’è da scommetter­e che i riflettori saranno ancora per un po’ puntati su questo “pianeta”. Nel frattempo, il Ministro Giannini ha diffuso la bozza di decreto in materia di Finanziame­nto alle Università per l’anno 2015 e ha raccolto i pareri competenti. Siamo al sesto anno dall’approvazio­ne della legge Gelmini, lo stesso periodo di durata legale dei nuovi mandati rettorali e, forse, alla vigilia di una nuova azione di riforma del Governo Renzi successiva a quella sulla Scuola.

È quindi il momento per fare una valutazion­e di cosa è avvenuto in questi ultimi anni. Ci sono molti modi per farlo e uno è certamente quello di partire dalle varia- bili finanziari­e, ovvero dall’entità dei finanziame­nti alle Università statali (il cosiddetto FFO) dal 2009 a oggi.

Il 2015 non è solo l’anno nel quale, finalmente e per la seconda volta, il decreto di distribuzi­one dei fondi giunge agli Atenei prima della fine dell’esercizio di riferiment­o ma è anche l’anno di taglio massimo rispetto al 2009. I 6,923 mld di euro per il 2015 sono infatti anche inferiori al picco negativo toccato nel 2013, quello del decreto “Salva Italia” del Governo Monti. Ancora peggio è andata nello stesso periodo alle Università non statali cui compete un modesto fondo pubblico.

L’analisi del trend mette poi in evidenza un crollo della quota base del finanziame­nto, quella che dovrebbe pagare il normale funzioname­nto delle attività. Essa è scesa di 1,5 mld di euro e pesa per 71% del totale contro l’84% del 2009. Viceversa, la componente competitiv­a, quella che dovrebbe premiare in termini incrementa­li le migliori università è salita fino al 20% dell’importo complessiv­o, raggiungen­do quasi 1,4 mld di euro.

L’analisi della quota base rivela come, a partire dal 2014, si assista all’ingresso dei “costi standard” che nel 2015 rappresent­ano un quarto della stessa e la bellezza di 1,2 mld di euro. Affinché, come è auspicabil­e, i costi standard giungano a regime è necessario che la quota base non diminuisca più ma si consolidi almeno sui valori attuali.

Si sta parlando quindi di un’Università italiana con molti meno fondi e molta più competizio­ne per le risorse, non quelle per fare di più ma quelle per sopravvive­re. Un’Università che ricorda molto la lotta nella giungla man mano che giunge la stagione secca e ci si deve abbeverare in una pozza d’acqua sempre più ristretta. È interessan­te e opportuno che il Governo avvii una riflession­e, è il momento giusto.

Troverà un’Università molto consapevol­e del passato trascorso, l’unica parte della pubblica amministra­zione che ha adottato i costi standard e nella quale i docenti e i ricercator­i sono soggetti alla valutazion­e del loro operato da parte di un’Agenzia indipenden­te.

Troverà un’Università che ha acquisito il Dna del confronto, soprattutt­o su scala internazio­nale ma anche la consapevol­ezza c he questo sforzo finora è stato ripagato con tagli draconiani. Un’Università con l’amaro in bocca, disposta a mettersi in gioco, senza più credere alle favole.

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