Atenei più competitivi, ma con meno fondi
Il Governo ha approvato la scorsa settimana il disegno di legge sulla “buona Scuola”. Ora è atteso il passaggio in Senato e c’è da scommettere che i riflettori saranno ancora per un po’ puntati su questo “pianeta”. Nel frattempo, il Ministro Giannini ha diffuso la bozza di decreto in materia di Finanziamento alle Università per l’anno 2015 e ha raccolto i pareri competenti. Siamo al sesto anno dall’approvazione della legge Gelmini, lo stesso periodo di durata legale dei nuovi mandati rettorali e, forse, alla vigilia di una nuova azione di riforma del Governo Renzi successiva a quella sulla Scuola.
È quindi il momento per fare una valutazione di cosa è avvenuto in questi ultimi anni. Ci sono molti modi per farlo e uno è certamente quello di partire dalle varia- bili finanziarie, ovvero dall’entità dei finanziamenti alle Università statali (il cosiddetto FFO) dal 2009 a oggi.
Il 2015 non è solo l’anno nel quale, finalmente e per la seconda volta, il decreto di distribuzione dei fondi giunge agli Atenei prima della fine dell’esercizio di riferimento ma è anche l’anno di taglio massimo rispetto al 2009. I 6,923 mld di euro per il 2015 sono infatti anche inferiori al picco negativo toccato nel 2013, quello del decreto “Salva Italia” del Governo Monti. Ancora peggio è andata nello stesso periodo alle Università non statali cui compete un modesto fondo pubblico.
L’analisi del trend mette poi in evidenza un crollo della quota base del finanziamento, quella che dovrebbe pagare il normale funzionamento delle attività. Essa è scesa di 1,5 mld di euro e pesa per 71% del totale contro l’84% del 2009. Viceversa, la componente competitiva, quella che dovrebbe premiare in termini incrementali le migliori università è salita fino al 20% dell’importo complessivo, raggiungendo quasi 1,4 mld di euro.
L’analisi della quota base rivela come, a partire dal 2014, si assista all’ingresso dei “costi standard” che nel 2015 rappresentano un quarto della stessa e la bellezza di 1,2 mld di euro. Affinché, come è auspicabile, i costi standard giungano a regime è necessario che la quota base non diminuisca più ma si consolidi almeno sui valori attuali.
Si sta parlando quindi di un’Università italiana con molti meno fondi e molta più competizione per le risorse, non quelle per fare di più ma quelle per sopravvivere. Un’Università che ricorda molto la lotta nella giungla man mano che giunge la stagione secca e ci si deve abbeverare in una pozza d’acqua sempre più ristretta. È interessante e opportuno che il Governo avvii una riflessione, è il momento giusto.
Troverà un’Università molto consapevole del passato trascorso, l’unica parte della pubblica amministrazione che ha adottato i costi standard e nella quale i docenti e i ricercatori sono soggetti alla valutazione del loro operato da parte di un’Agenzia indipendente.
Troverà un’Università che ha acquisito il Dna del confronto, soprattutto su scala internazionale ma anche la consapevolezza c he questo sforzo finora è stato ripagato con tagli draconiani. Un’Università con l’amaro in bocca, disposta a mettersi in gioco, senza più credere alle favole.