La plastica veneziana di Piovan tratta con gli svizzeri di Capvis
uno dei leader italiani nel settore della produzione di macchine ausiliarie per il trattamento delle materie plastiche, cresciuta grazie a una serie di acquisizioni all’estero, e ora potrebbe accogliere la bandiera elvetica nel proprio capitale. La veneziana Piovan sarebbe alle battute finali per far entrare nel proprio capitale un fondo di private equity.
Il candidato perfetto, secondo le indiscrezioni riportate da Mergermarket, sarebbe il fondo svizzero Capvis Equity Partners, che in Italia si è già fatto notare per un certo attivismo dopo aver rilevato la milanese Faster lo scorso anno.
La Piovan, gruppo con circa 200 milioni di fatturato e una trentina di milioni di margine operativo lordo, è cresciuta negli ultimi anni tramite acquisizioni fra le quali quella dell’italiana Penta, della statunitense Universal Dynamics e della tedesca Fdm, fino alla decisione da parte della famiglia azionista di cercare un private equity come partner affidando un mandato a Kpmg. (C.Fe.)
2011, di fronte al rischio crescente del debito sovrano del Sud Europa, Zurich ha venduto in pochi mesi titoli di stato italiani per miliardi di dollari, riducendo l’esposizione verso i periferici di 700 milioni, da 11,6 a 10,9 miliardi, e verso l’Italia di circa 2 miliardi, da 7,2 a 5,4 miliardi. Nei mesi successivi lo scenario si è rasserenato: le prospettivedell’areaeurosonomigliorate, la Bce ha stabilizzato il mercato dei titoli governativi, l’Italia ha avviato le riforme e il colosso assicurativo svizzero ha invertito la rotta, sia investendo fortemente nel core business assicurativo in Italia - divenuto paese strategico per il gruppo – sia accentuando investimenti finanziari nelle emissioni del Tesoro: 6,7 miliardi nel 2012, 8,9 miliardi nel 2013, 9,4 miliardi nel 2014. Insomma, oggi Zurich, spiega il numero uno del big assicurativoelvetico,MartinSenn,in questaintervistaalSole24Ore, «ha molti più Btp e Bot in portafoglio di quanti non ne avesse prima della crisi del debito sovrano». Il cambiamento è stato importante.
«Nel 2011 la priorità era la stabilità e, in un contesto esterno estremamente avverso, abbiamo volutodifenderelanostraforteposizione di capitale. In accordo con i regolatori – spiega Senn - abbiamo ridotto l’esposizione sui mercati azionari e sui titoli di stato, nonché l’esposizione verso il debito sovrano italiano». Una posizione coerente con la cultura di Zurich di contenimento dei rischi. Il manager svizzero, classe ’57, ceo del gruppo dal 2010, guida una delle compagnie più solide al mondo, con3miliardididollaridicapitaliin eccesso da impiegare per la crescita o restituire ai soci (rating AA- di S&P, Solvency I ratio a 307% a fine 2014).Ungruppocon55miladipendenti e operativo in 170 Paesi che, sottolinea Senn, con i suoi modelli di valutazione dei rischi, che considerano anche eventi rari che avvengono ogni 500 anni, è sopravvissuto alle crisi internazionali: dalla rivoluzione russa del ’17 alla grande depressione degli anni 30, dalle due guerre mondiali al collassodell’EstEuropa; lacompagniaha affrontato gli shock petroliferi, l’esplosione della bolla delle dotcom, la crisi del debito sovrano e, adesso, «l’anomalia di tassi negativi sui bond governativi». «La
PUNTI DI FORZA La strategia difensiva del big svizzero, con il miglioramento dell’outlook dell’Europa e dell’Italia, si è trasformata in una strategia di crescita LO SCENARIO Il ceo: «Il 30% delle emissioni governative europee ha rendimenti negativi e alla lunga la situazione non è sostenibile»
strategia difensiva degli anni passati, con il miglioramento dell’outlook sull’Europa e Italia, si è trasformata in una strategia di crescita, nel business e negli investimenti». La vigilanza resta comunque alta. «Al di là delle riforme, che in Italia sono andate oltre le aspettative, in Europa l’andamento dei tassi riflette la politica della Bce – evidenzia Senn -, abbiamo il 30% delle emissioni governative con rendimenti negativi e questo non è sostenibile nel lungo periodo. È una situazione che pone rischi significativi per i sistemi pensionistici, per le assicurazioni e per le persone comuni, che non sanno più dove allocare i propri risparmi».
Ci sono poi focolai di instabilità ancora accesi come la Grecia. «Nel nostro scenario più probabile – spiega Senn – la Grecia non lascerà l’euro ma c’è uno scenario molto improbabile, quanto severo, che questo avvenga e che la situazione crei una forte volatilità sui mercati». Un rischio che non è