Sui termini doppi un intervento a una sola direzione
pLo schema di decreto legislativo sulla certezza del diritto, approvato nel Consiglio dei ministri del 21 aprile, modifica la disciplina dell’accertamento ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva: viene, infatti, mantenuta l’operatività del raddoppio dei termini a condizione che la denuncia dei reati tributari sia presentata o trasmessa entro la scadenza ordinaria dei termini di accertamento.
La soluzione elaborata dal Governo ha il pregio di evitare la tentazione degli uffici di riaprire termini scaduti mediante l’invio di notizie di reato e, più in generale, di aumentare il tasso di certezza del nostro sistema fiscale, coerentemente alle indicazioni scritte nella legge delega.
La modifica può favorire il successo della voluntary disclosure. Infatti, qualora la nuova norma entrasse in vigore, in mancanza di una denuncia di reato già presentata o trasmessa entro il 31 dicembre 2014, il raddoppio dei termini sarà inoperante, così che gli anni da sanare mediante la voluntary disclosure saranno soltanto quelli accertabili ordinariamente (2010-2103 in caso di infedele dichiarazione; 2009-2013 in caso di omessa dichiarazione).
Sotto un profilo strettamente amministrativo-tributario, i n molte circostanze la modifica avrebbe l’effetto di dimezzare il periodo temporale di riferimento della procedura, così riducendo significatvamente i costi della regolarizzazione.
A ben vedere, però, la riduzione degli anni da sanare non è stata accoppiata coerentemente all’estensione della non assoggettabilità a sanzioni penali delle azioni commesse negli anni per i quali è ancora contestabile un reato tributario.
Le cause di non punibilità penale, infatti, attualmente sono limitate dall’articolo 5quinquies, comma 2 del Dl 167/1990 «agli imponibili, alle imposte e alle ritenute oggetto della collaborazione volontaria» e quindi sono espressamente riferite alle sole annualità ancora accertabili ai fini amministrativi tributari.
In assenza di una modifica normativa che estenda la copertura penale anche agli anni precedenti a quelli oggetto di voluntary disclosure, quindi, gli interessati non avranno protezione penale per i periodi d’imposta in cui abbiano eventualmente commesso violazioni fiscali penalmente rilevanti con riferimento alle attività interessate alla collaborazione volontaria.
L’assenza di denuncia entro i termini di decadenza ordinari per l’accertamento tributario, infatti, avrà effetti preclusivi solt anto sull’accertamento dei tributi e sull’irrogazione delle relative sanzioni amministrative, ma non anche sui termini di prescrizione per l ’ esercizio dell’azione penale.
Questi termini, infatti, sono più ampi rispetto a quelli previsti per l’accertamento tributario, ossia, in assenza di atti interruttivi, sei anni dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi infedele o fraudolenta, o dalla data in cui avrebbe dovuto essere presentata la dichiarazione omessa.
In termini pratici, un reato di dichiarazione infedele commesso con riferimento al 2008 o al 2009 sarebbe ancora perseguibile penalmente, nonostante la voluntary disclosure sani violazioni reddituali a decorrere dal 2010.
Gli interessati alla sanatoria, quindi, potrebbero temere giustamente che le procure della Repubblica, alle quali l’agenzia delle Entrate è obbligata per legge a comunicare la conclusione delle procedure, attivino indagini penali sugli anni non oggetto di voluntary disclo-
IL PUNTO DI PARTENZA La formulazione del legislatore evita l’aumento delle sanzioni sul fronte amministrativo IL PROBLEMA PENALE Gli interessati potrebbero essere scoraggiati dalle possibili attenzioni dei pm agli anni non coperti
sure proprio sulla base delle informazioni fornite dagli stessi contribuenti.
A ben vedere, il rischio non potrebbe essere essere scongiurato nemmeno attraverso l’attivazione della procedura di regolarizzazione con riguardo ad annualità “scadute”, rinunciando, di fatto, all’intervenuta decadenza dell’Ufficio dal potere di accertamento.
L’articolo 2966 del Codice civile, infatti, prevede che la decadenza possa essere rifiutata dalla persona contro la quale si deve far valere un diritto, ma solo in tema di diritti disponibili. Tuttavia, in materia tributaria la Corte di cassazione ha chiarito che non è ipotizzabile un impedimento della decadenza per effetto del “riconoscimento del diritto” del contribuente, poiché tra i diritti disponibili «certamente non rientra quello del fisco nei confronti del contribuente » (sezione V, 26 ottobre 2001 n. 13218).
In definitiva, la questione non può essere risolta in via interpretativa e la modifica legislativa concernente il raddoppio dei termini per l’accertamento, se non adeguatamente corretta, potrebbe, in realtà frustrare in molti casi la spinta all’emersione riducendo l’appeal della procedura.