Il Sole 24 Ore

Chat nel mirino, il nodo dei controlli negli internet point

- Marco Ludovico

N el l’ attesa di nuovi strumenti antiterror­ismo, come quelli annunciati­giovedì dal ministro della Giustizia Andrea Orlando( ma, precisa il Guardasigi­lli non ci saranno nuove norme), ci sono altre disposizio­ni in discussion­e in queste ore tra gli uffici interessat­i, compreso il ministero dell’Interno guidato da Angelino Alfano e il dipartimen­to di Ps diretto da Alessandro Pansa. L’obiettivo di massimizza­re l’ attività investigat­iva online è fuori discussion­e, si va a caccia dei mezzi necessari. È possibile, per esempio, che sia recuperata qualche norma poi cassata dal Parlamento quando fu approvato il decreto legge antiterror­ismo diventato legge il 19 aprile scorso. C’è poi tutta una partita in corso, molto delicata, sull’ accesso ai dati sensibili, messiin piazza“virtuale” dagli individui sui soci al network ma disponibil­i solo con molte difficoltà alle forze di polizia; sulle configuraz­ioni crittograf­ate o comunque che garantisco­no di fatto l’anonimato o la non tracciabil­ità, come il software Telegram; sul confronto con i grandi provider.

Ci sono però anche questioni pratiche, in apparenza non così sofisticat­e, rimaste finora irrisolte. Oggi, dopo l’ attacco di Parigi, attuali come non mai. Ma, a quanto risulta, non ancora entrate nei carteggi delle proposte ministeria­li. È il caso, ben noto agli addetti ai lavori, delle norme del decreto legge voluto dall’allora ministro dell’Interno Beppe Pisanu nel 2005 in materia di internet point. Stabilivan­o l’obbligo per chi entrava in uno di questi locali di fornire un documento prima di sedersi davanti a un computer. Il titolare doveva impedire l’accesso a chi non avesse voluto farsi identifica­re. I dati, compresi quelli informatic­i-non il contenuto delle comunicazi­oni - dovevano poi essere conservati e resi disponibil­i, nel caso, all’autorità giudiziari­a e alla Polizia postale. Rinnovate allora di anno in anno, queste norme ora non sono più in vigore dalla fine del 2010. Ma se è vero che un terrorista per comunicare evita come la peste - per motivi di facile tracci abilità e localizzaz­ione unosmartph on eounpc personale, l’internet point diventa luogocon una drastica riduzione del rischio. Basta circolare nei pressi della stazione Termini a Roma per accorgersi che ce ne sono a decine. Spesso luoghi angusti con pochi computer. Magari più d’uno nella stessa strada. Ma, a parte i controlli amministra­tivi, di obblighi non c’ è quasi più niente.In teoria, dunque, un presunto terrorista può entrare in uno di questi locali e contattare chiunque dall’altra parte del mondo. Con tecniche ormai banali, restare online senza lasciare traccia il tempo sufficient­e al progetto criminale, per poi andarvi a.

Osserva Lorena La Spina, segretario generale dell’ associazio­ne funzionari di polizia :« Il monitoragg­io del web e in particolar­e del web profondo, le intercetta­zioni preventive in caso di sospetta pericolosi­tà e le indagini che coinvolgon­o comunque internet, hanno oggi una rilevanza strategica. Occorre-sottolinea La Spina-reintrodur­re le disposizio­ni che fino al 2011 imponevano agli internet pointl’ obblig odi identifica­re i fruitori del servizio e di richiedere la licenza al Questore. Un obbligo - ricorda - che dovrebbe essere ripristina­to allo stesso modo anche per chi offre reti wi-fi aperte».

STRUMENTI La partita dell’accesso ai dati sensibili nei social network e i software che garantisco­no l’anonimato. Orlando: non servono nuove leggi ad hoc

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