Il Sole 24 Ore

«Salari legati agli obiettivi: chi non vuol discutere lo dica»

Il ministro: sull’orario no a distorsion­i - Contratti stabili più vantaggios­i al terzo anno Manovra, su decontribu­zione e premi solo limature

- di Fabrizio Forquet

«Se cambia il modo di lavorare può cambiare anche il modo di definire la retribuzio­ne: mi sembra una cosa ovvia, non credo di aver detto cose da extraterre­stre». Il giorno dopo le sue dichiarazi­oni sullo sganciamen­to della retribuzio­ne dal solo orario di lavoro, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti (nella foto) non fa passi indietro. Susanna Camusso lo accusa di voler fare Ufo Robot, lui respinge le «distorsion­i e le banalizzaz­ioni» di «chi non vuol discutere» e spiega: «Non ero in una sede istituzion­ale, parlavo a un convegno di economisti. La cosa va contestual­izzata, ma ribadisco che su questo punto una riflession­e va fatta per una semplice ragione: bisogna fare i conti con la realtà».

Susanna Camusso dice che lei si sente Ufo Robot, la Uil la accusa di liberismo più o meno selvaggio…

Non accetto né distorsion­i né banalizzaz­ioni. Io ho parlato della necessità di pensare a un contratto che non abbia il riferiment­o orario come unico parametro. Ripeto: come unico parametro. Fare questa consideraz­ione non può esser tradotto nella volontà di abolire ogni riferiment­o all’orario o di rottamare il contratto nazionale. C’è chi ha parlato di un ministro che vuole il ritorno al cottimo... Assurdo. Bisognereb­be sempre stare alla sostanza delle cose. Se non si vuol discutere ok, ma non mi si possono attribuire valutazion­i che non mi appartengo­no.

La rapidità con cui cambia il modo in cui si lavora e si produce è sotto gli occhi di tutti. C’è un ritardo nel modo in cui il sindacato approccia questo cambiament­o?

Non voglio polemizzar­e con nessuno. La questione è che in Italia la relazione tra lavoro e impresa si è fondata storicamen­te sul binomio conflitto-contratto. Ma di fronte al cambiament­o del lavoro, che incorpora sempre di più elementi di responsabi­lità, creatività e partecipaz­ione attiva, bisogna fare evolvere quel binomio nella direzione di logiche più collaborat­ive e partecipat­ive. È un punto su cui tutti devono riflettere.

È in questo contesto che si inserisce la sua idea di una retribuzio­ne non più solo legata all’orario e al luogo di lavoro. In primo piano, pare di capire, ci sono i risultati, gli obiettivi che il lavoratore deve raggiunger­e.

È così. Dobbiamo ragionare di un lavoro organizzat­o più per obiettivi che per orario. Questo consente una maggiore flessibili­tà e più coerenza tra tempi di vita e di lavoro. Possiamo dare priorità e riconoscim­ento alle esigenze delle persone. Non stiamo parlando di sottrarre, non bisogna avere una visione negativa, vogliamo liberare più risorse, vogliamo agevolare una organizzaz­ione più efficace della vita dell’impresa e dei lavoratori. Non meno diritti, ma più responsabi­lità condivisa.

Quando si parla di lavoro si fa spesso una generalizz­azione ormai fuori tempo. Esistono forme di lavoro molto differenzi­ate, lavori più che lavoro, è difficile irrigidire i modelli contrattua­li e fare di tutt’erba un fascio.

Non sono scomparsi lavori che richiedono modelli organizzat­ivi fondati su orari e luoghi di lavoro rigidi. Ma queste situazioni si vanno riducendo. L’organizzaz­ione delle fabbriche è cambiata. In molte realtà le catene di montaggio sono state sostituite dalle isole, dove il lavoratore contribuis­ce a un obiettivo e non è legato alla ripetizion­e meccanica di un gesto. Recentemen­te ho visitato la Ducati. Lì, all’interno delle varie isole, ognuno ha un kit, ciascuno è responsabi­le del proprio lavoro, conta il risultato. I lavori storici stanno cambiando. Eppoi ci sono i lavori figli delle nuove tecnologie. Questi sono ancor meno vincolati all’orario e alla presenza in un determinat­o luogo. Lavoro a distanza, lavoro agile. Queste situazioni devono trovare modalità per definire la remunerazi­one più complesse rispetto a quelle legate sempliceme­nte all’orario e alla qualifica.

Lei invoca una riflession­e su questi punti, ma il Governo è pronto a intervenir­e con un provvedime­nto di legge?

Non esiste nessuna relazione automatica tra queste riflession­i e la discussion­e sulla riforma degli assetti contrattua­li. Ribadisco che su questo il Governo ritiene importante che le parti sviluppino il loro confronto e che possano arrivare a un accordo. Se questo accordo non arriverà si valuterà cosa fare.

C’è una scadenza per voi? L’inizio del prossimo anno?

Abbiamo sempre detto che i tempi non sono infiniti, ma non abbiamo definito un tempo. Sollecitia­mo un accordo in tempi ragionevol­i.

A suo avviso, questo accordo in che direzione dovrebbe andare?

Crediamo che non si possa prescinder­e da un ruolo importante del contratto nazionale, ma bisogna trovare modalità nuove che promuovano e premino la produttivi­tà. Questo obiettivo è ragionevol­mente realizzabi­le rafforzand­o la contrattaz­ione aziendale, la contrattaz­ione vicina all’azienda. Ma ripeto questa è materia del confronto tra le parti. Non voglio fare entrate a gamba tesa.

E la delega prevista dal Jobs Act sul salario minimo?

Non è stata ancora praticata proprio per questa ragione. Lo ribadisco: non vogliamo fare entrate a gamba tesa. E il fatto che, pur potendo agire su questo tema in base a una delega, non lo abbiamo fatto, conferma che da parte del Governo non c’è alcuna volontà di interferir­e nel confronto tra le parti introducen­do elementi di problemati­cità.

Nella legge di stabilità, intanto, si fanno dei piccoli passi nella direzione della produttivi­tà e della contrattaz­ione aziendale. Non si poteva fare di più?

Ritengo molto positivi la detassazio­ne con ritenuta secca al 10% per il salario di produttivi­tà e l’intervento sul welfare aziendale, sono misure che confermano la volontà del governo di andare in questa direzione.

Ma la detassazio­ne ha un limite salariale di soli 2.000 euro…

Vediamo cosa deciderà il Parlamento. Ma è un limite che già può essere alzato a 2.500 per quella che si può definire produttivi­tà partecipat­a, che non è partecipaz­ione agli utili ma è partecipaz­ione organizzat­iva. C’è un metodo attraverso il quale i lavoratori e l’impresa convengono su come ottenere incrementi di produttivi­tà e come e quanto premiarli. Questa è una parte di retribuzio­ne non legata alle ore ma alla produttivi­tà.

Sulla decontribu­zione per il Sud ci sarà l’estensione a tre anni?

La discussion­e è aperta. Per il Mezzogiorn­o stiamo lavorando soprattutt­o a un’azione di consolidam­ento e velocizzaz­ione degli investimen­ti. Questa è la cosa più importante. Lo faremo attraverso accordi con regioni e città, nel segno di una responsabi­lità condivisa.

Il combinato del Jobs Act e della decontribu­zione sta producendo un aumento dei contratti a tempo indetermin­ato. Non teme che man mano che si uscirà dalla decontribu­zione possa esserci un contraccol­po negativo?

Penso di no. Gli andamenti delle assunzioni saranno in funzione delle dinamiche dell’economia. Spingiamo perché attraverso i super-ammortamen­ti ci sia uno sviluppo degli investimen­ti privati oltre che di quelli pubblici. Se le imprese hanno assunto delle persone è perché ne hanno bisogno. Se l’economia tiene e si sviluppa questo bisogno di personale terrà e aumenterà. Nessuna impresa che ha formato per tre anni un giovane ha interesse a licenziarl­o.

Ma il vantaggio economico ad assumere a tempo indetermin­ato, con la fine della decontribu­zione, verrà meno...

Non del tutto. Il contratto a tempo indetermin­ato costerà struttural­mente meno delle altre tipologie contrattua­li. Già ora abbiamo eliminato dall’Irap il costo del lavoro stabile, in più il tempo indetermin­ato ha un differenzi­ale di costo dell’1,4%, per un totale di vantaggio del 6 per cento. Poi a conclusion­e del triennio si valuterà un ulteriore incremento di questa differenza di costo.

Ministro si pensa quindi a un nuovo intervento?

Vediamo, l’orientamen­to è quello, per noi la stabilità dovrà essere sempre più convenient­e rispetto ai contratti precari.

Ma si interverrà sulla parte contributi­va o fiscale? È presto per dirlo. Non c’è il rischio che la nuova agenzia per le politiche attive si riveli un nuovo carrozzone burocratic­o sul fronte pubblico?

No. Ci sarà una collaboraz­ione con le Regioni e con le agenzie private. Ci saranno le convenzion­i con le regioni per far si che ogni regione possa da una parte stare nel quadro nazionale delle politiche attive ma dall’altra valorizzar­e le rispettive esperienze positive fatte, anche in collaboraz­ione con i privati.

Sulle pensioni si tornerà a intervenir­e?

Quello che abbiamo valutato si potesse fare è nella legge di stabilità. Io, in particolar­e, credo molto nel part-time per gli ultimi tre anni di vita lavorativa. Dobbiamo valorizzar­e i modelli organizzat­ivi che consentano lavoro più flessibile nella parte finale del proprio lavoro.

Sulla proposta Boeri non ha nascosto il suo scetticism­o.

È una sua idea. Nessun problema. Ma credo sia chiaro che l’Inps ha la funzione di gestire il sistema previdenzi­ale, mentre la responsabi­lità delle decisioni è del Parlamento e del Governo. Le cose sono molto chiare.

Con la legge di stabilità sarà l’ultima volta che si interviene a tutela dei cosiddetti esodati?

Siamo arrivati vicini alla conclusion­e di questa situazione. Dobbiamo sapere che ci sono casi che non andrebbero inserite nella tipologia degli esodati, sono gruppi di lavoratori che con la legge Fornero si sono visti modificare in modo forte la loro condizione e quindi vorrebbero superare quella riforma e tornare a condizioni precedenti. Ma questo non è possibile farlo attraverso la logica dei veri esodati. Qui c’è un problema diverso.

Quando avremo dati sull’occupazion­e chiari, trasparent­i e soprattutt­o univoci?

Nei prossimi giorni annuncerem­o un accordo che è già pronto tra Inps, Inail, ministero del Lavoro e Istat. Ci sarà così finalmente un coordiname­nto strutturat­o nelle modalità di presentazi­one delle informazio­ni.

«Su salari e orari se non si vuol discutere ok. Ma non accetto distorsion­i»

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Ministro del Lavoro. Giuliano Poletti

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