Il Sole 24 Ore

Un’altra Expo con Strampelli

Una mostra indaga gli aspetti scientific­i del cibo quotidiano dalle sementi fino ai cibi che giungono sulle nostre tavole

- Roberto Defez © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Expo 2015 è stata un notevole successo organizzat­ivo, anche per la sicurezza dei tantissimi visitatori: di questo l’Italia può andare fiera. Ma se cerchiamo di ricordare quale sia stato il contenuto, il messaggio, il progetto proposto al pianeta, allora qualche nebbia comincia a calare su Rho. Incentrare Expo sul cibo era una delle poche cose ragionevol­i o possibili da fare, ma si doveva dare da Expo una visione sul futuro del pianeta.

Partiamo da un alimento simbolo come il pollo di Trilussa, ossia che alcuni ne mangiano due, altri niente. Siamo divisi tra oltre un miliardo di obesi e ottocento milioni di denutriti, ma i vasi comunicant­i nel mondo non esistono. Inutile chiudere il rubinetto dell’acqua di casa illudendos­i che arrivi una goccia d’acqua in più in Mali.

Il cibo deve essere quasi tutto coltivato e consumato localmente e come diceva Norman Bourlag, agronomo e premio Nobel per la pace 1970: se vuoi la pace coltiva la giustizia, ma coltiva anche il campo per produrre grano, senza pane non ci sarà pace. Esodi di disperati, carestie per i cambiament­i climatici, guerre per l’acqua, inquinamen­to, sterilità o salinità dei suoli mal utilizzati, accaparram­ento delle terre, perdita di biodiversi­tà causata da deforestaz­ione e pesca eccessiva, sono aspetti correlati a cui dare una risposta che segua la traccia indicata da Bourlag.

Negli ultimi anni gli scaffali dei supermerca­ti, per non parlare dei negozi biologici e di nicchia, si sono riempiti di cibi “naturali” e “antichi”. Percepiti come un rifugio alimentare rassicuran­te rispetto al cibo “moderno” e “manipolato dall’uomo”, fonte secondo certe filosofie alimentari di malattie e disturbi di ogni genere, rappresent­ano un indubbio successo commercial­e contempora­neo. Sono i cereali in genere, ma soprattutt­o i grani, che qualcuno classifica in buoni e cattivi, dove buono ovviamente fa rima con naturale e antico. Poco importa se i grani teneri “di una volta” in realtà sono varietà che risalgono al massimo a un secolo fa, e quindi dal punto di vista genetico sono modernissi­mi.

In queste settimane a Padova, presso il Centro Culturale Altinate San Gaetano, è possibile visitare la mostra «FOOD. La scienza dai semi al piatto». Una mostra che indaga sugli aspetti scientific­i del cibo quotidiano. Nella prima sala, tutta dedicata ai semi, fanno bella mostra grani di tutti i tipi, e tra questi l’unico che forse si potrebbe legittimam­ente indicare come “antico” perché il suo genoma non ha subito molte modifiche da quando venne domesticat­o circa 12.000 anni fa. È il «farro monococco» o Triticum monococcum. Tutti gli altri hanno subito, nei millenni successivi, modifiche e rimaneggia­menti anche profondi del proprio DNA. Basti pensare che il frumento tenero con cui facciamo pane e biscotti non è mai esistito allo stato selvatico.

Circa 8mila anni fa, nella regione compresa tra l’Armenia e il Sudovest del mar Caspio, avvenne un evento genetico quasi “innaturale”: una pianta di farro coltivato inglobò completame­nte il genoma di un’erba selvatica, l’Aegilops tauschii, per generare una nuova specie non esistente in natura, il «farro spelta», che una serie di modifiche genetiche successive ha trasformat­o nel nostro amato Triticum aestivum: il grano tenero con cui facciamo pane, torte e pizze. In un normale incrocio il padre e la madre donano al figlio la metà del proprio corredo genetico. Il frumento tenero invece, inglobando tutti i geni di entrambi i genitori, appartenen­ti a specie diverse, è un vero e proprio mostro genetico che, se vogliamo, di “naturale” ha ben poco.

Nel libro Contronatu­ra (Dario Bressanini e Beatrice Mautino, Rizzoli, 2015) raccontiam­o di come ben poco del cibo che mangiamo quotidiana­mente si possa davvero considerar­e “naturale” – senza per questo associare a questo aggettivo un significat­o positivo o negativo –, e di come gli scienziati da tempo sfruttino varie tecnologie per emulare in laboratori­o ciò che in natura avviene per caso. Nei negozi specializz­ati in alimenti “naturali”, negli ultimi anni sta avendo molto successo un prodotto, un cereale, chiamato Tritordeum. Le biotecnolo­gie moderne sono in grado di far avvenire la fusione genetica tra due specie diverse, anche se non troppo lontane geneticame­nte, per crearne una nuova, replicando quello che è già avvenuto in natura con il grano tenero. E in effetti negli ultimi decenni in alcuni laboratori sono stati creati dei veri e propri “frumenti sintetici” fondendo con successo in provetta i genomi dei progenitor­i del frumento tenero. A questo punto il passo è breve: perché ci dovremmo limitare a replicare quanto già successo in natura? Possiamo benissimo provare a unire specie che non si sono mai unite in natura.

Ecco allora che un gruppo di scienziati spagnoli ha provato a fondere l’orzo selvatico (Hordeum chilense) con il frumento tenero. Nel 1977 riuscirono a produrre le prime piante fertili di questa nuova specie, che chiamarono Tritordeum dall’unione di piante di due generi diversi: Triticum e Hordeum. Quei primi tentativi furono un successo scientific­o – quale scienziato non sarebbe orgoglioso di inventare letteralme­nte una nuova specie? –, ma non produssero nulla di utilizzabi­le in pratica, poiché le caratteris­tiche di quelle prime piante erano assai poco adatte per la coltivazio­ne.

Per nulla scoraggiat­i da quei primi tentativi, Antonio Martín e i suoi collaborat­ori al dipartimen­to di agronomia e migliorame­nto genetico vegetale dell’Università di Cordoba decisero di provare con il frumento duro e nel 1982 descrisser­o una nuova specie, ottenuta questa volta unendo l’orzo selvatico – la mamma – con il grano duro – il papà –, ottenendo una pianta con delle buone caratteris­tiche agronomich­e e che sembrava meritevole di essere messa alla prova in un vero campo.

Nel giro di vari anni il gruppo di Antonio Martín ha generato più di 250 Tritordeum diversi, partendo da piante diverse di orzo selvatico. In questo modo Martín ha costruito una sorta di biodiversi­tà artificial­e, necessaria per i futuri incroci. Il

Tritordeum, grazie alle sue origini «selvatiche», mantiene alcune caratteris­tiche tipiche, come la resistenza alla siccità, al caldo e ad alcune malattie. Ha un buon contenuto di proteine e, grazie al fatto di avere tra i genitori il grano duro, è possibile utilizzarl­o per panificare e fare la pasta. Oltre che in Spagna, il Tritordeum è coltivato in Italia e Portogallo. Le prime varietà commercial­i sono state, ovviamente, registrate e brevettate.

La comunicazi­one di questo nuovo cereale, inesistent­e in natura, gioca spesso sul fatto che il Tritordeum non sia un OGM. E questo è sicurament­e vero. Se Antonio Martín avesse prelevato un solo gene dall’orzo selvatico trasferend­olo nel grano duro, per la legge avrebbe ottenuto un OGM. Ma poiché ha trasferito tutti i geni dell’orzo selvatico, per la legislazio­ne la nuova specie non è un OGM. Non cercate una spiegazion­e razionale a questa classifica­zione: non c’è.

Io non ho alcun timore nel mangiare il pane di Tritordeum, nonostante abbia un genoma sostanzial­mente diverso da quello di entrambi i genitori, così come non avrei problemi a mangiare pasta di grano duro OGM con un singolo gene prelevato dall’orzo. Non ha alcun senso trattare le due piante diversamen­te. Non ha alcun senso classifica­re i vegetali, e chiedere regolament­azioni, in base al tipo di tecnologia utilizzata per ottenerli. Quello che conta sono solo le loro proprietà, verificate a posteriori.

 ??  ?? Speciale su «Mostre a Padova» con Food, Casorati e Fattori. Testi di D. Bressanini, A. Masoero e F. Mazzocca. Pagg. 38-39
Speciale su «Mostre a Padova» con Food, Casorati e Fattori. Testi di D. Bressanini, A. Masoero e F. Mazzocca. Pagg. 38-39
 ??  ??
 ??  ?? allestimen­to | Una della sale della mostra «FOOD. La scienza dai semi al piatto» aperta al Centro Culturale Altinate San Gaetano di Padova
allestimen­to | Una della sale della mostra «FOOD. La scienza dai semi al piatto» aperta al Centro Culturale Altinate San Gaetano di Padova
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy