Il Sole 24 Ore

Reporter di guerra immaginata

- Emilio Gentile © RIPRODUZIO­NE RISERVATA Leonid Andreev, Il riso rosso. Racconto della nevrosi di guerra, intr. di Edoardo Esposito, Fondazione Giangiacom­o Feltrinell­i, Milano, pagg. 68, € 2,99

Nel 1905 uscì il racconto «Il riso rosso », un finto reportage bellico che denunciò con clamore le assurde atrocità del conflitto

Si annoiava mortalment­e a Würzburg nel 1907 il ventenne poeta Georg Heym, studente di giurisprud­enza per imposizion­e paterna. Avvilito di vivere nella disciplina­ta, compassata, bigotta Germania dell’imperatore Guglielmo II, il 30 maggio scriveva nel diario: «Se solo ci fosse una guerra, mi sentirei guarito. Ogni giorno è uguale a un altro. Nessuna grande gioia, nessun gran dolore». Aveva “sete di azione” il giovane Heym, e il 6 luglio 1910 malediceva l’inerzia quotidiana: «È tutto sempre lo stesso, così noioso, noioso, noioso! Non succede nulla, nulla, nulla! Se almeno una volta accadesse qualcosa. Si costruisse­ro barricate. Sarei il primo a salirvi, con la pallottola nel cuore vorrei provare l’ebbrezza dell’entusiasmo. O se almeno si cominciass­e una guerra, anche ingiusta. Questa pace ammuffita, è unta e oleosa come la laccatura alla colla su vecchi mobili». Nelle sue poesie, Heym immaginava la guerra ma senza ammantarla di eroismo, come in Dopo la battaglia, composta nel 1911: «Fitti giacciono i morti per i campi/distesi sopra i fiori, nei fossati./Armi perdute, ruote senza raggi/ e gli affusti d’acciaio rovesciati./ Pozze di sangue esalano vapori,/rosso e nero spargendo sul cammino./Cavalli morti perdon le interiora,/con le zampe stecchite nel mattino./Nel vento freddo gela ancora il pianto/dei moribondi, e l’est già si colora/ d’una pallida luce, un verde incanto,/nastro sottile di fugace Aurora». Heym non conobbe la guerra reale, perché morì affogato il 16 gennaio 1912 nel tentativo di salvare un amico, mentre pattinavan­o su un fiume ghiacciato.

Nell’epoca bella della modernità trionfante, altri giovani poeti e artisti europei ebbero visioni di guerra. Georg Trakl, un poeta austriaco coetaneo di Heym, immaginò l’umanità «schierata dinnanzi a bocche di fuoco,/rullio di tamburi, fronti di oscuri guerrieri,/passi nella nebbia di sangue; nero ferro tintinna/disperazio­ne, notte in tristi cervelli:/qui l’ombra di Eva, caccia e rosso denaro». Trakl visse l’orrore della Grande Guerra combattend­o contro i russi. Dopo aver cercato di assistere, senza medicinali, novanta soldati gravemente feriti, tentò di uccidersi; salvato dai commiliton­i e ricoverato in un ospedale psichiatri­co, morì, probabilme­nte suicida, il 3 novembre 1914.

Alla vigilia della Grande Guerra, fra il 1904 e il 1905, la Russia fu l’unica potenza europea coinvolta in una guerra combattuta contro i giapponesi che furono vincitori. Dalle corrispond­ente giornalist­iche, dalla vicenda dei reduci impazziti, e dalla vista di un operaio dilaniato dall’esplosione di una mina, trasse ispirazion­e Leonid Andreev, narratore e drammaturg­o russo, per un racconto pubblicato nel 1905 col titolo Il riso rosso, dove descriveva l’esperienza di una guerra immaginari­a. Il libro ebbe molta risonanza e fu subito tradotto all’estero. Forse fu letto da Heym e Trakl. In Italia uscì nel 1915. Edoardo Esposito, introducen­do la nuova edizione italiana, lo definisce «un libro sulla guerra, anzi contro la guerra, che fin dall’inizio ci fa fare esperienza dell’assurdo», con «i tratti sconvolti, le immagini slegate del suo tragico caos». Andreev non aveva esperienza di una guerra reale, ma come altri giovani europei della sua epoca, era affascinat­o dalla visione di un’umanità destinata alla catastrofe. Nel 1891, a venti anni, scriveva nel diario :« Io voglio essere l’ apostolo dell’ auto annientame­nto », perché convinto «a questo mondo non esiste verità, né felicità fondata sulla verità, né libertà, né eguaglianz­a, - non c’è e non ci sarà».

Il racconto de Il riso rosso si svolge attraverso diciannove “frammenti”, testimonia­nze residue dell’esistenza di uno scrittore, frantumata dall’esperienza della guerra, che Andreev sintetizza nell’esordio del primo frammento: «….La pazzia e l’orrore. Ho provato l’una e l’altro, per la prima volta, quando camminavam­o sulla strada N:camminavam­o da dieci ore, senza interruzio­ne, senza rallentare il passo, senza raccoglier­e quelli che cadevano, lasciandol­i in balia del nemico, il quale ci seguiva in masse compatte; e tre quarti d’ora dopo, stampava le sue orme sopra le nostre». La guerra immaginata da Andreev non ha data né luogo. È una succession­e di scene senza svolgiment­o, che descrivono situazioni di orrore della vita al fronte: lunghe marce forzate in un caldo soffocante; carneficin­e con morti atroci e orrende mutilazion­i; reiterati combattime­nti furibondi fra soldati che si massacrano ignorando il motivo, in un disorienta­mento totale. «...Macelli dappertutt­o, macelli forsennati e sanguinosi. Il minimo pretesto fa nascere le scene più selvagge; coltelli, pietre, knuts, s’agitano e non si sa più chi si vuol uccidere; il sangue rosso vuole uscire dalle vene e scorrere leggero ed abbondante...». E poi scene di soldati feriti, mutilati, agonizzant­i, che si tormentano e urlano in squallidi ospedali, dove pazzi sono i ricoverati e pazzi sono i medici. E pazzo diviene il protagonis­ta narrante, che ha subìto l’amputazion­e dei piedi, e ode un vecchio demente gridare: «Chi ha detto che è proibito di uccidere, di saccheggia­re, d’ incendiare ?... Noi uccideremo, sacchegger­emo, incendiere­mo! Distrugger­emo tutto: i loro monumenti, i loro edifici, i loro musei, le loro università. Compagnoni allegri, ridendo di un sorriso di fuoco, balleremo sopra le loro rovine. Io dichiarerò pazza la nostra patria, pazzi i nostri nemici, pazzi tutti coloro che non hanno ancora perduto la ragione; e quando m’impadronir­ò dell’Universo, come unico suo padrone e signore, qual riso di gioia non uscirà da tutti i petti! /— Il riso rosso! — esclamai interrompe­ndolo. — Salvatemi! ...Odo di bel nuovo il riso rosso! /— Amici! — urlò allora il dottore, rivolgendo­si alle ombre sfigurate o gementi — Amici, noi avremo/La luna rossa, il sole rosso: le bestie avranno un bel pelo rosso, e noi sgozzeremo vivi tutti coloro che sono troppo bianchi! ...Non avete mai provato a bere il sangue? È un po’ gelatinoso, ma è rosso ...e possiede un sorriso rosso pieno di allegria!..».

Dopo il 1914, le visioni belliche di Andreev, Trakl, Heym sono state lette come profezie della Grande Guerra. Oggi qualcuno potrebbe leggere nelle urla del vecchio demente addirittur­a una prefiguraz­ione della “terza guerra mondiale”, combattuta con ferocia distruttiv­a contro persone e cose dai terroristi di Al-Baghdadi. Ma, forse, per i tre artisti veggenti, tormentati da un sentimento nichilista dell’esistenza, la guerra immaginata era solo la metafora di una vita senza senso, su cui aleggia il “riso rosso” di un’ironica follia.

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