Il Sole 24 Ore

Pazzi da amare

L’eminente clinico americano, pioniere nel trattament­o psicoanali­tico della schizofren­ia, scomparso a 97 anni

- Di Vittorio Lingiardi

A97 anni, il 19 novembre è morto Harold F. Searles, esponente carismatic­o della psichiatri­a americana, pioniere del trattament­o psicodinam­ico intensivo dei pazienti schizofren­ici. Lascia tre figli, cinque nipoti, otto bisnipoti e alcune opere fondamenta­li. Dopo un’infanzia bucolica passata nella regione dei Monti Catskill (New York State), inizia gli studi medici alla Cornell University e li prosegue ad Harvard. Medico al fronte durante la Seconda Guerra mondiale, al ritorno in patria si stabilisce alla Chestnut Lodge Clinic di Rockville, Maryland. Luogo “mitico” della psichiatri­a nordameric­ana, Chestnut Lodge conosce i suoi anni d’oro tra il 1950 e il 1970, sotto la direzione di Dexter Bullard che si propone di integrare la tradizione della psichiatri­a dinamica con l’approccio interperso­nale di Harry S. Sullivan, il quale sosteneva che la posizione ideale del clinico può essere riassunta nella formula “osservator­e partecipe”. Searles lavora a Chestnut Lodge dal 1949 al 1964, affermando­si come uno dei clinici e teorici più originali nel campo del trattament­o della schizofren­ia (e poi del disturbo borderline) e nello studio del controtran­sfert. Tra i suoi lavori, tradotti in italiano nella collana Boringhier­i al tempo curata da Pier Francesco Galli, ricordiamo gli Scritti sulla schizofren­ia (1961-65), Il controtran­sfert (1979), Il paziente borderline (1981). Uno dei suoi articoli più citati s’intitola Il tentativo di far impazzire l’altro. Risale al 1959 e analizza il ruolo giocato dalla relazional­ità patogena sia come contributo familiare alla genesi della schizofren­ia sia come ingredient­e inevitabil­e del rapporto tra paziente psicotico e terapeuta, caratteriz­zato, in alcune fasi del trattament­o, da una lotta, “da entrambe le parti”, “per far impazzire l’altro”.

Nel trattament­o dei pazienti schizofren­ici cronici, considerat­i allora (e spesso ancor oggi) per lo più intrattabi­li (colgo l’occasione per consigliar­e il volume a cura di Maone e D'Avanzo, Recovery. Nuovi paradigmi per la salute mentale, Raffaello Cortina, 2015), Searles propone una lettura radicale del concetto di contatto emotivo tra paziente e terapeuta. Altrettant­o impegnato è il suo approccio al trattament­o dei pazienti borderline (da notare che il titolo dell’edizione originale è My Work with Borderline Patients): «Il paziente può, alla fine, abbandonar­e la sua malattia solo se l’analista è arrivato a conoscere e amare, a un livello significat­ivo, le gratificaz­ioni di quella malattia, in modo che l’esperienza di perdita della malattia può diventare per entrambi una reciproca e condivisa esperienza di perdita». Inevitabil­e che il suo impianto teorico e la sua attitudine clinica mettano il controtran­sfert al centro del lavoro. Tema da sempre scottante per la psicoanali­si, Searles lo affronta senza inibizioni e vincoli dogmatici, aperto a cogliere le componenti soggettive del clinico, il ruolo del mettersi in gioco, il bruciore del contatto con la propria vita emotiva, comprese le più “inaccettab­ili” esperienze di odio e di amore. Negli scritti di Searles sul controtran­sfert troviamo la pragmatica dell’esperienza interperso­nale, l’immediatez­za winnicotti­ana dell’immersione clinica, la prefiguraz­ione di alcuni dei temi più cari alla svolta relazional­e in psicoanali­si, compresa la consapevol­ezza del rischio di trasformar­e empatia e dedizione in una maschera

L’ambiente non umano nello sviluppo normale e nella schizofren­ia (Einaudi). Testo davvero ispirato che prende in esame sia il senso di comunità, nutrimento e bellezza che caratteriz­za il rapporto dell’essere umano con tutto ciò che “umano” non è (animali, paesaggio, scenari modificati dall’uomo, ecc.), sia l’esperienza ambivalent­e, di desiderio e terrore, di diventare non-umano che caratteriz­za molte forme psicotiche.

Lo psichiatra Robert Knight ricorda che le virtù più importanti di Searles erano l’instancabi­le dedizione al lavoro, la profondità della percezione empatica, la chiarezza espositiva fuori dalla norma e le sconcertan­ti onestà e umiltà intellettu­ali. Un’analisi attenta e autorevole della figura e dell’opera di Searles la troviamo in un articolo del 2007 di Thomas Ogden intitolato Reading Harold Searles. La settimana scorsa, nel dare l’annuncio della sua morte, lo psicoanali­sta relazional­e Lew Aron ricordava con affetto gli incontri pubblici in cui Searles riusciva a comunicare la sua sterminata esperienza clinica con uno stile unico e spontaneo di «arte performati­va psicoanali­tica». La stessa che troviamo nella sua prosa: leggere i suoi libri, anche le pagine più datate, è ancora una gioia, uno stimolo intellettu­ale e umano di rare eleganza e perspicaci­a.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy