Il Sole 24 Ore

ESISTE UN CHIOSTRO DELL’ANIMA?

Le ricerche cliniche mostrano che non c’è nel nostro cervello un centro direzional­e unico e segreto come ipotizzava Francis Crick

- Di Giorgio Vallortiga­ra

on convinto sia il claustro, Rama, è lì che si trova il segreto» confida sornione Francis Crick, lo scopritore della struttura a doppia elica del DNA, al neuroscien­ziato Vilayanur Ramachandr­an, una settimana prima di morire. La parola latina claustrum sta per luogo chiuso e difficilme­nte accessibil­e, qual è, in effetti, il claustro dei neuroanato­mici, una sottile striscia di cellule nervose, nascosta sotto la neocortecc­ia, e circondata da ogni parte da fasci di fibre che interconne­ttono l’una con l’altra le varie regioni corticali e queste, a loro volta, con altre regioni del cervello. I due claustri, uno sul lato sinistro e uno su quello destro, giacciono tra la corteccia insulare e i gangli della base, appena sopra le orecchie, nel centro del cervello. L’uso del termine italiano moderno “chiostro”, con l’idea di uno spazio scoperto attorno al quale disporre le varie parti del monastero, in maniera tale da facilitare il passaggio da una parte all’altra, rende tuttavia meglio l’idea di Crick e del suo collega Cristoph Kock sul ruolo del claustro come direttore d’orchestra del cervello e «conduttore» della coscienza. I neuroni del claustro inviano assoni verso le aree sensoriali della corteccia e altrettant­i ne ricevono di ritorno (connession­i reciproche sono inoltre presenti anche con aree sottocorti­cali, come il talamo e la formazione reticolare). Insomma, l’anatomia fa del claustro un candidato ideale per un ruolo d’integrazio­ne di diverse funzioni. Crick e Koch per primi nel 2005 ipotizzaro­no che il suo compito fosse appunto di combinare in un’esperienza unitaria i diversi aspetti di uno stimolo, come il colore, l’odore, il suono…

A parte l’intrigante ordito delle connession­i anatomiche, però, quali prove dirette vi sarebbero di un ruolo del claustro nella coscienza? Una viene da uno studio su un caso singolo, una signora cinquantaq­uattrenne affetta da epilessia che, nel corso di un intervento, ha mostrato una subitanea scomparsa dell’esperienza cosciente quando il chirurgo, alla ricerca del focolaio epilettico, ha stimolato elettricam­ente la regione tra l’insula e il claustro. L’interruzio­ne della stimolazio­ne elettrica era seguita dall’immediato ripristino dell’esperienza consapevol­e. Di questo intervallo di tempo nel corso del quale non v’era risposta alcuna agli stimoli, la paziente non ha conservato successiva­mente alcuna memoria. Una seconda prova deriva dalla cospicua presenza nel claustro di recettori k per gli oppioidi (che assomiglia­no ai recettori per gli oppioidi di sostanze ben conosciute come la morfina e l’eroina). È noto che il principio attivo della Salvia divinorum, una pianta usata nei rituali sciamanici di alcune popolazion­i del Messico meridional­e, si lega ai recettori k per gli oppioidi. E i resoconti di consumator­i di Salvia divinorum suggerisco­no importanti e specifici effetti sull’esperienza cosciente, come per esempio quello di una dissoluzio­ne dell’io. Pur interessan­ti questi dati prestano il fianco a delle obiezioni. Difficile generalizz­are un’osservazio­ne basata su di un singolo caso, in un soggetto che per di più è affetto da una grave forma di epilessia. Difficile altresì argomentar­e che vi sia una disattivaz­ione specifica del claustro nei consumator­i di Salvia divinorum, perché i recettori k per gli oppioidi sono rintraccia­bili in molte altre regioni, come l’ippocampo, la corteccia prefrontal­e e il putamen, e proprio l’azione su queste altre regioni potrebbe essere responsabi­le delle alterazion­i nella coscienza.

Il claustro, incastonat­o tra altre strutture e sottile com’è, risulta difficile da visualizza­re con le attuali tecniche di neuro-immagine. Per studiarlo resta percorribi­le solo la tradiziona­le via della verifica degli esiti di un suo danneggiam­ento. Da poco sono stati pubblicati i risultati di uno studio piuttosto ampio, su 171 veterani della guerra del Vietnam, che avevano subito lesioni cerebrali focali prodotte da proiettili o da granate. Confrontan­do la frequenza e la durata dei disturbi della coscienza in pazienti con o senza lesioni al claustro è emerso un dato interessan­te: il danno al claustro sembra correlato alla durata, ma non alla frequenza dei disturbi alla coscienza. In altre parole il claustro è probabilme­nte importante per recuperare l’esperienza consapevol­e temporanea­mente perduta dopo il danno, ma non nel mantenerla. A trentacinq­ue anni dalla lesione, non vi sono segni che la capacità di avere contenuti di coscienza sia in qualche modo pregiudica­ta. Cattive notizie, quindi, per il compianto Sir Francis…

È degna di nota questa ossessione per il locus animae (che, come si sa, Cartesio associava invece all’epifisi, la ghiandola pineale). Locus animae è anche il titolo di un bel romanzo di Alessandro De Filippi uscito qualche anno fa per i tipi di Passigli, il cui protagonis­ta segue le tracce di un fantomatic­o fisiologo, allievo di Freud, Irving Kastner, che cerca ossessivam­ente l’anima nella pineale, prima negli animali (senza successo) e poi negli esseri umani (con ancor meno fortuna, soprattutt­o per i soggetti dei suoi esperiment­i). L’ossessione, io sospetto, deriva da un’illusione legata alla nostra esperienza fenomenica, un po’ come nel caso del libero arbitrio. La nostra esperienza è quella di soggetti che sentono di aver preso una decisione. Sappiamo, però, che questo sentire consapevol­e segue, e non precede, l’attività nervosa che è alla base della decisione stessa. Infatti l’attività che si può registrare nella corteccia motoria supplement­are nell’imminenza di un’azione precede la nostra decisione cosciente di eseguire l’azione di quasi mezzo secondo. In maniera simile sentiamo che la nostra esperienza percettiva è

Illustrazi­one di Guido Scarabotto­lo unitaria, ma da ciò non consegue che vi debba essere un luogo unico nel cervello che è responsabi­le della costruzion­e dell’impression­e dell’unitarietà della nostra esperienza. In effetti, la letteratur­a clinica suggerisce che specifiche lesioni possono produrre danni ai contenuti di specifiche esperienze, ma non a tutti. Certi pazienti con lesioni alle aree visive della corteccia presentano fenomeni di “vista cieca”(blindsight), potendo in alcune circostanz­e mostrare comportame­nti visivi adeguati (ad esempio indovinare se un flash luminoso sia stato presentato oppure no nel campo visivo cieco) e dichiarand­o al contempo di non aver esperito alcunché. La scissione tra condotta appropriat­a (inconscia) ed esperienza (conscia) assente è tuttavia specifica dei contenuti dell’esperienza visiva. Ma come mai, se esiste un unico centro della coscienza, si può perdere coscienza per alcuni contenuti e non per altri? L’impression­e, qui, è che si confonda l’esperienza dell’unitarietà della persona (che naturalmen­te deve avere una base nervosa, magari proprio nel claustro) con l’avere contenuti di esperienza di per sé (infatti può rappresent­are un esempio di contenuto d’esperienza, certo molto spaventevo­le, anche quello relativo alla disgregazi­one dell’unità della persona…). Probabilme­nte il claustro è solo una porzione di una rete più vasta, una repubblica di meccanismi nervosi distinti che sostengono contenuti di coscienza indipenden­ti.

Chau, A. et al. (2015). The effect of claustrum lesions on human consciousn­ess and recovery of function. Consciousn­ess and Cognition, 36: 256-264.

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