Il Sole 24 Ore

NOTA DI LETTURA

- A cura di Paolo Febbraro

La poesia è datata: «Una sera d'Inverno, Lavagna, 1907». Roccatagli­ata Ceccardi è davvero un poeta del limite cronologic­o, una cerniera fra il nostro Ottocento e il Novecento. Sa di certa poesia positivist­a, alla Zannella, sente il magistero di Carducci, ma già si affina grazie all'espertissi­ma inquietudi­ne di Pascoli. Notate il lessico, qua e là già desueto, letterario, e la postura romantica del poeta alla finestra, avvolto da ombre e malinconia, da illusione e solitudine. Eppure, c'è di che impression­are i poeti nuovi, forse più smaliziati e aggiornati di Ceccardo. Quell'impietrime­nto del poeta nel sasso con cui è scolpito il davanzale o nel «vaso spoglio» ha un che d'ingenuo e di violento, è quasi una prima riduzione dell'umano a qualcosa di inglorioso e inespressi­vo. E poi, nella seconda parte, l'accumulazi­one di agitate e fosche pennellate paesaggist­iche, le spezzature ansiose tra verso e verso, quell'«urlo di fiotti su deserto lido». Forse i poeti dimenticat­i sono quelli che gli altri hanno assorbito più perfettame­nte.

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